“L’HOTEL DEL LIBERO SCAMBIO”: INTERVISTA A ROBERTO VALERIO

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Una società malata, corrotta da vizi legati all’erotismo che nella Parigi di Fine Ottocento hanno portato a disastri sociali immensi. Un finto perbenismo in cui i personaggi condannano in pubblico le stesse attività illecite che commettono in privato. Tutto questo è “L’hotel del libero scambio”, capolavoro della pochade scritto da Georges Feydeau nel 1894.

La pièce diretta da Roberto Valerio, che ha firmato l’adattamento con Umberto Orsini, è in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 30 ottobre. Ne sono protagonisti Antonello Fassari e Nicola Rignanese, noti al grande pubblico per aver interpretato film, serie e programmi televisivi di successo. Completano il cast Alessandro Albertin, Claudia Crisafio, Marta Pizzagallo, Roberto Negri, Silvia Maino, Stefano Cisano, Anna Chiara Colombo e Federica Pizzutilo. Un meccanismo farsesco dalla precisione infallibile e sempre attuale destinato a conquistare il pubblico.

Teatro.Online ha intervistato il regista Roberto Valerio.

“Parliamo di uno spettacolo rappresentato per la prima volta in piena Rivoluzione Industriale ma le sue radici affondano addirittura nella commedia dell’arte, è così?”

“Assolutamente sì. Feydeau riprende tutti i topos della commedia antica, soprattutto di quella plautina. A cominciare dai personaggi. Il protagonista è Pinglet, che non fa altro che andare alla ricerca di piaceri sessuali: altri non è che Pantalone. C’è un cameriere imbranato che non è altro che un servitore sciocco di Plauto. Colombina, sempre di Plauto, diventa invece una domestica sveglia e disinibita. Abbiamo poi addirittura un Brighella, che è un avvocato. Per non parlare del proprietario dell’hotel, uguale a un Lenone di origine plautina. Qui si intrecciano gli aspetti della commedia antica, creando dei meccanismi molto complessi, attuali e che riescono a parlarci ancora oggi”.

“Perché è così importante la rapidità dei cambi di scena?”

“Ho voluto che la scena fosse costituita da 12 porte, che si smontano e cambiano posizione a seconda dei momenti. La porta, con le entrate e le uscite, è un archetipo di Feydeau e la possibilità di cambiarle velocemente è fondamentale. E’ una scena fortemente stilizzata, quindi non realistica. Nella prima parte, le porte diventano una specie di casa; nella seconda un hotel. Infine nella terza vengono lasciate aperte, quindi si crea uno spazio che diventa una destrutturazione dell’hotel e della casa. Si trasformano così in un luogo astratto dove si va a chiudere la commedia”.

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“Ci sono due elementi con cui Feydeau racconta la società di quel tempo e i vizi simili a quella dei nostri giorni: la leggerezza e l’esattezza. In che modo fa convivere questi due elementi?”

“Sono un grande veicolo per il successo di una commedia e per raccontare delle storie. Leggerezza ed esattezza sono le prime due Lezioni Americane di Italo Calvino e secondo lui devono essere presenti in ogni opera d’arte. La leggerezza in Feydeau è veramente straordinaria. Se però non c’è anche una grandissima esattezza da teatro di serie A , il meccanismo delle entrate e delle uscite perde ogni efficacia”

“Questo testo vuol condannare con una risata amara il degrado di quella società. Non c’è invece il rischio che qualcuno possa emularla in positivo?”

“Qui si racconta il tentativo del protagonista di evadere dal quotidiano, da una vita un po’ scialba. E’ un uomo che si fa prendere dal desiderio di follia e trasgressione. Lo trovo molto moderno e contemporaneo. Questo è tipico dei grandi autori, che così riescono a diventare dei classici. Non credo si possa parlare di rischio, ma di stimolo. Secondo me, non esiste un grande autore che voglia prendere parte riguardo a un argomento. ­­E’ molto più interessante quando lo lascia aperto. Perché è solo così che il pubblico può decidere da che parte stare”.