“ACQUA DI COLONIA”: L’INCUBO DEL COLONIALISMO

La storia del colonialismo italiano viene sempre identificata con il ventennio fascista, ma in realtà ebbe inizio già nell’Ottocento. Una pagina sporca della nostra storia, che tante volte finisce ingiustamente nel dimenticatoio. Eppure ne portiamo addosso ancora i segni, le frasi fatte e i luoghi comuni. I profughi, i migranti che oggi vivono con noi e con cui abbiamo a che fare quotidianamente per strada, in metropolitana e nei negozi sono una realtà irreale che non riusciamo a giustificare nel nostro presente. Acqua di colonia parla proprio di questo. Lo spettacolo, scritto, diretto e interpretato da Elvira Frosini e Daniele Timpano, è in scena al Teatro Filodrammatici di Milano fino a domenica 25 febbraio.

La parola ad Elvira Frosini e Daniele Timpano

“La prima cosa che mi ha incuriosito preparando quest’intervista è il titolo dello spettacolo. Come nasce?”

E’ un titolo un po’ ironico. Contiene la parola ‘colonia’ perché parliamo del colonialismo. Però, come sanno tutti, l’acqua di colonia è un profumo, anche se un po retrò. E’ un’essenza che rimane addosso e che vuole anche coprire odori poco gradevoli”.

“Perché, vista da lontano, l’Africa è tutta uguale?”

Daniele Timpano:“Più che altro CI SEMBRA tutta uguale. In realtà, come in tutti i continenti, ci sono decine di Paesi diversi con etnie, situazioni politiche e culturali e livelli di povertà e ricchezza differenti. Nell’immaginario dell’italiano medio, qualunque africano viene visto solo come tale. Penso che sia già tanto se mia mamma ne distingue uno da un cinese o da un rumeno! E’ sempre considerato qualcuno che viene in Italia a rompere le scatole. Non c’è la consapevolezza di un rapporto simmetrico tra alcuni Paesi dell’Africa e il nostro.

In Italia e a Milano ci sono moltissimi eritrei, ma sono pochissimi gli italiani consapevoli del legame coloniale diretto che c’è stato tra Eritrea e Italia. Siamo stati presenti in quella zona dell’Africa per 60 anni e l’Eritrea ha preso il proprio nome in seguito a una decisione dei nostri connazionali. Siamo stati noi a strapparla ai territori etiopi. Questo lo sanno pochissimi italiani, mentre gli eritrei che vengono in Italia sono consapevoli del rapporto coloniale che il loro Paese ha avuto con il nostro: molte strade infatti portano i nomi delle nostre città”.

“Siamo davvero così inadeguati a gestire un’emergenza come quella dei profughi?”

Elvira Frosini“Un po’ si, perché la paura è molto diffusa. L’informazione non è sempre quella giusta, perché tende spesso a spaventare tutti e a dire che c’è un’emergenza incontrollabile e ingestibile. Forse, però, non è così. Sicuramente i pregiudizi di cui parliamo nello spettacolo hanno un peso molto importante dentro di noi”.

“E’ un incubo che ritorna quello del colonialismo?”

“Parlando in termini psicanalitici, è un vissuto che abbiamo rimosso ma che portiamo dentro di noi e nella nostra cultura. Siamo una sedimentazione stratificata di pregiudizi razzisti. La cultura occidentale è caratterizata – a volte inconsapevolmente, altre in buona fede – da un senso di superiorità economica, culturale e militare che a volte si traduce nel suo opposto: nel senso di colpa e nella paura. Esagerando possiamo dire che da secoli non c’è opera né attività umana italiana, europea o occidentale che non sia permeata di colonialismo: dal caffé all’arte”.

Conclude Elvira Frosini“Nello spettacolo citiamo l'”Aida“: non è un’opera che parla di colonialismo, ma getta uno sguardo ottocentesco su un mondo sconosciuto creato dagli italiani e dagli europei. L’immagine dell’antico Egitto che emerge è stata creata alla fine del Settecento dalla conquista napoleonica. Ne è venuta fuori la costruzione dell’immaginario di un Paese popolato dai nostri predecessori culturali. L’Egitto esistente in quel momento, però, non viene preso in considerazione. Noi però adoriamo l'”Aida”!”

(intervista in video realizzata da Andrea Simone)

La compagnia ringrazia il “Gruppo Teatro Migranti” di Macao.