AFGHANISTAN, “IL GRANDE GIOCO” ED “ENDURING FREEDOM”

Il grande gioco ed Enduring Freedom: due spettacoli che attraversano due secoli per raccontare i complessi rapporti tra l’Occidente e l’Asia Centrale: un viaggio avventuroso, crudele e poetico lungo la storia dell’Afghanistan e di un’area che si estende dall’India all’Iran, e che ci riguarda molto vicino. Sono due gli spettacoli in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 25 novembre. Con i testi di  Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys e Joy Wilkinson, ed entrambi diretti da Elio De Capitani e Ferdinando Bruni, vedono protagonisti Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri e Giulia Viana.

La parola a Ferdinando Bruni

Enduring Freedom è il nome dell’operazione con cui nell’ottobre 2001 gli americani bombardarono Tora Bora dopo gli attacchi dell’11 settembre. E’ il terrorismo il protagonista di questo spettacolo?”

“No, è quello che porta al terrorismo. Sono i motivi per cui l’Occidente ha avuto e ha a che fare con il terrorismo di matrice islamica e di origine orientale. Il titolo di questo secondo spettacolo, “Afghanistan: il grande gioco” che è il lavoro che stiamo facendo con l’Afghanistan e il suo rapporto con l’Occidente, è anche qualcosa di ironico, perché di duraturo in Afghanistan c’è solo la guerra.”

“Perché quella che viene raccontata è una storia che ci riguarda molto da vicino?”

“Perché tanto per cominciare è una metafora dei rapporti che l’Occidente ha avuto con l’Oriente, Siria compresa. Poi ci sono questioni ancora molto aperte come quella della Libia. Inoltre abbiamo ancora un contingente in Afghanistan e impieghiamo uomini, mezzi e denaro in quell’area. Poi i fenomeni migratori di cui siamo testimoni hanno delle origini che non sono misteriose né inspiegabili, ma affondano le loro radici in momenti di storia in cui siamo coinvolti anche noi. Come Occidente ormai non ci si può più tirare fuori e dire “Quella è l’Inghilterra, quelli sono gli Stati Uniti”. In un mondo globale come il nostro la responsabilità è di tutti.”

Il grande gioco ci parla di un altro tipo di Afghanistan e ci porta in un’altra epoca. Quale?”

“L’epoca degli scontri anche sul piano diplomatico, l’epoca in cui in Occidente, in particolare in Gran Bretagna, scoppiò una specie di paranoia, con il terrore che la Russia invadesse l’Afghanistan per minacciare le frontiere dell’India e del Regno Unito. Lì entrano in gioco non solo i politici, non solo i movimenti che cercano in qualche modo di portare un certo grado di libertà in Afghanistan anche per quanto riguarda la condizione della donna, ma anche gli esploratori e i cartografi che sono qualcosa a metà tra gli avventurieri, le spie e gli scienziati. E’ un momento anche affascinante dal punto di vista del racconto. E’ un mondo in cui l’avventura, il mistero e la politica molto più concreta si intrecciano.”

“Furono gettate allora le basi del terrorismo, secondo te?”

“In quel periodo è cominciata una serie di equivoci e di sventure superficiali della situazione afghana, che è molto complessa. Si pretese di dare dei confini a una nazione che non è mai stata uno Stato: è un insieme di tribù che convivevano attraverso una serie complicatissima di reti e di accordi tra capi tribù e signori della guerra, che l’intervento a gamba tesa dell’Occidente e dell’Inghilterra per la prima volta nel 1838 manda a catafascio e comincia a far partire questo viaggio che diventa una lunga di scia di sangue che arriva fino a noi.”