IL MITO DI AIACE SECONDO GHIANNIS RITSOS

Eroi e dei assenti

Il Pacta Salone di Milano propone fino al 2 aprile l’Aiace di Ghiannis Ritsos. Scritto tra il 1967 e il 1969, il testo è una rilettura della tragedia di Sofocle attraverso la quale uno dei più grandi poeti del Novecento offre una visione lucida e cruda della sua contemporaneità umana e politica. L’eroe e gli dei non ci sono più. Sulla scena c’è una donna,  forse una proiezione o un miraggio. Incombe poi la presenza di un uomo, Aiace, evocato attraverso la voce di lei. I due ripercorrono insieme la storia dell’eroe, dai fasti delle vittorie fino al grottesco tragico epilogo. La regia e la voce diffusa in teatro sono di Graziano Piazza, che dirige sulla scena Viola Graziosi. Teatro.Online ha intervistato entrambi.

“Perché questa è una storia dove coesistono grandezza e impotenza allo stesso tempo?”

Viola Graziosi: E’ una domanda profonda e bella. Questo testo parla di una donna e della sua ricerca di un mito, quello di Aiace, che non c’è più. Pian piano, rievocandone l’assenza, ne assume la grandezza spaventosa. In questo modo si accorge anche di incarnarne la profonda impotenza. Un’impotenza che riguarda la storia di Aiace e il fallimento dell’eroe. Comprende così che grandezza e impotenza non possono che coesistere.

“Perché perdere tutto rappresenta per Aiace una liberazione?”

Graziano Piazza: Con il suo gesto Aiace compie un’atto di arroganza contro gli Dei.  E’ una sua scelta, causata dal fatto che le divinità lo hanno costretto a fare tutto quello che volevano. A quel punto si ribella ed è lui a prendere una decisione estrema. In sostanza Aiace sceglie che gli Dei non scelgano più al suo posto. Credo che la grandezza appartenga al mito tanto quanto l’impotenza apppartiene all’uomo. L’atto di rivivere l’immensità del mito ci mostra il nostro limite di uomini.

“Viola, che tipo di atteggiamento ha il tuo personaggio nei confronti di Aiace?”

E’ una donna che parte sia dall’assenza di una figura maschile mitica , quella di suo marito che l’ha abbandonata, sia dalla sua impossibilità di salvarlo. Lui non le ha chiesto aiuto e non pensava nemmeno che fosse in grado di correre in suo soccorso. Lei vive il suo atto di dare la colpa alla sua impotenza e alla sua incapacità di donna di salvare il grande eroe. Tutto si sviluppa da una parte di dolore misto a rabbia, perché lui non ha capito chi era lei e non le ha dato possibilità di vita e di azione.

“In che modo si perdono i confini di genere e di spazio vitale?”

Graziano Piazza: Ti ringrazio molto per questa bellissima domanda: si perdono attraverso il teatro e il suo confine. C’è l’atto di rievocare le parole di un personaggio mancante. Tramite esse la donna diventa un testimone. Il confine è dato dalla nostra capacità di essere testimoni di un gesto che può diventare mitico, leggendario o compiuto dalla memoria. Ripetere la testimonianza è qui un atto teatrale.