
Il Teatro della Cooperativa propone dal 15 al 19 marzo Albanaia, uno spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Augusto Bianchi Rizzi. La drammaturgia è firmata da Bruno Fornasari, anche regista, e Tommaso Amadio, protagonista in scena con il Coro Ana di Milano diretto dal maestro Massimo Marchesotti.

Un medico in guerra
Il protagonista di Albanaia è il tenente medico Vittorio Bellei che ci accompagna in prima persona, attraverso frammenti del suo personale diario della Seconda Guerra Mondiale.
La drammaturgia mette al centro un uomo e le sue convinzioni. Siamo di fronte a un medico che aderisce con rigore etico e morale al sistema di valori del suo tempo e dedica tutto se stesso alla causa in cui crede.
Dopo la nascita del figlio, Vittorio Bellei parte con le truppe alpine per la guerra d’Albania. Con lui siamo a Brindisi prima del viaggio per Tirana. Poi andiamo in trincea sotto il fuoco nemico fino ad affrontare il gelo del monte Guri i Topit. A quota 2120 il nemico peggiore è proprio il freddo. Gli alpini, mal nutriti e male attrezzati, combattono sotto terra e nelle trune ghiacciate la loro più dura battaglia di resistenza. Il nemico è l’esercito greco, in forze e meglio organizzato.
Il dottor Vittorio Bellei è lì per loro per aiutarli a superare la nottata. In alcuni casi anche a sopravvivere al male della lontananza.

La parola a Tommaso Amadio
“L’autore del testo Augusto Bianchi Rizzi è scomparso a ottobre 2014, quindi non molto tempo fa. Questo spettacolo vuole anche essere un omaggio a lui?”
“Sicuramente. Quest’opera per me e per Bruno Fornasari rappresenta in qualche modo un ‘fuoripista’. Rispetto ai progetti che abbiamo portato avanti fino ad adesso è diverso. E’ stato sicuramente l’incontro con Augusto a convincerci a farlo. In un primo momento è venuto a vedere i nostri spettacoli. Poi un giorno ci ha chiamati e ci ha proposto questo testo. Bruno e io ci siamo chiesti perché mai gli fossimo venuti in mente proprio noi. Abbiamo letto il suo romanzo e ci siamo resi conto che c’erano una serie di aspetti che potevano essere vicini a Bruno e a me, oltre alla sensibilità e all’esperienza che ha vissuto Augusto. Quindi c’è di sicuro un forte collegamento con il suo autore”.
“Mi ha molto colpito il fatto che abbiate voluto raccontare una storia di uomini prima ancora che una storia di eroi”.
“Le descrizioni delle battaglie sono atroci e terribili. Però avevamo anche la sensazione forte che il cinema, come capacità di strumenti, fosse molto più capace di raccontare questo tipo di messaggio. La cosa bellissima che emergeva è che, accanto a una guerra fatta di posizioni e trincee, si sviluppasse all’interno del romanzo una guerra di ideologie. Un gruppo di amici e di persone, cresciuti secondo i valori Balilla di quel periodo, parte e si ritrova costretto a rimettere in discussione quello in cui crede. Si parla di gente tra i 20 e i 27 anni. Il protagonista Vittorio Bellei ne ha 27. C’è uno scontro, che per noi era la parte più interessante, tra grandi valori e ideologie. A conquistarci in modo definitivo è stata la scelta che Vittorio si trova costretto a fare tra ideologia e aspetto umano. Alla fine opterà per la seconda possibilità. Questo, secondo noi, è un messaggio estremamente importante oggi. Forse, se in alcuni frangenti le persone seguissero di meno le ideologie e di più i rapporti, vedremmo meno brutture”.
“Perché avete deciso di coinvolgere il coro nazionale degli alpini?”
“Perché fin dall’inizio la sensazione era proprio che lo spettacolo dovesse avere un respiro di coralità inteso come storie di più individui. Sicuramente il filo rosso è Vittorio Bellei. E’ un fascista esemplare, che però coniuga al suo interno quella che viene definita l’ ‘alpinità’. Il corpo degli alpini è molto particolare. Ha dei valori straordinari. Io mi sono avvicinato a loro grazie al libro di Augusto. Non volevamo un monologo, ma un dialogo tra me, che porto avanti la storia a parole, e gli alpini come presenza. Oltre a cantare, interagiscono con me in diversi momenti. Questo permette di raccontare al meglio il senso di squadra, di gruppo e compagnia”.
“Mi incuriosisce sapere com’è nato il titolo del libro: perché Albanaia e non Albania?”
“E’ il termine che veniva utilizzato dagli alpini per definire la campagna italo-greca. La chiamano proprio ‘Albanaia’. E’ la stessa domanda che mi sono fatto anch’io. Tra gli alpini c’è quest’usanza. Forse è una sorta di crasi e di gioco di parole tra ‘naja’, intesa come servizio militare, e alba, cioè quando si torna tutti a casa. Indica un percorso di iniziazione. La campagna di Albania rappresenta infatti il preludio perfetto per capire cosa avrebbe significato la Russia due anni dopo. Un aspetto completamente ignorato. Se non fossero intervenuti i tedeschi infatti, l’Italia avrebbe perso su tutti i fronti”.