Due spettacoli della stessa compagnia in scena al Teatro Litta di Milano: My Place – Il corpo e la casa e Ladies Body Show. Nel primo, in cartellone il 16 novembre, troviamo tre corpi nudi – o meglio in biancheria intima – volutamente messi in evidenza: masse corporee vive e non censurate, vere e ben diverse da quelle che ancora oggi siamo abituati a vedere in mostra sui giornali, su internet e in televisione.

Il secondo spettacolo, Ladies Body Show, è previsto il 17 e il 18 novembre. E’ nato prima della pandemia, ed è ancora oggi rimasto come tutto il mondo: sospeso e tornato a vivere nel 2021. Le due opere vedono la regia di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti. Ne sono protagoniste Francesca Albanese, Silvia Bandini e Laura Valli.
La parola a Francesca Albanese
Partiamo dal primo spettacolo, “My place”: in che cosa queste tre donne sono certamente non belle, ma perfette perché autentiche?
Questa frase sottende al fatto che in scena ci sono tre corpi che non rispecchiano gli stereotipi della bellezza per come viene intesa oggi. In realtà, quindi, il desiderio è quello di portare un concetto di bellezza più grande, non tanto quello di rappresentare delle persone non belle, ma quello di dire che ci sono diversi corpi che rispondono a criteri di bellezza differenti. La frase vuole intendere che sicuramente lo spettacolo esce dagli schemi tradizionali. Si emancipa dalla messa in scena con dei corpi svestiti che di solito ci fa vedere sul palco corpi snelli e magri. Noi invece portiamo in scena corpi quotidiani. Siamo tre donne di cinquant’anni e andiamo sul palco con il nostro corpo così come siamo.
Che tipo di sguardo buttano sul mondo femminile?
L’aspetto interessante sottolineato dal lavoro è che lo sguardo sul mondo mette in luce il modo in cui quest’universo possa essere abitato con la stessa intimità con cui viviamo le nostre case. Lo spettacolo parla esattamente del corpo-casa, dove il nostro corpo diventa la nostra abitazione, e racconta quindi il modo in cui lo abitiamo. Allo stesso tempo si concentra sull’intimità che viviamo nel quotidiano all’interno delle nostre case.
Nello spettacolo noi siamo in biancheria intima. Il desiderio è proprio quello di dire che quando siamo in uno spazio privato, abbiamo la possibilità di liberare i nostri corpi. Quanto è possibile vivere in libertà il proprio corpo anche negli spazi pubblici? Lo spettacolo prova a fare proprio questo in modo ironico e divertente: si vedono delle immagini dove noi giriamo in mutande e reggiseno al supermercato, in una piazza, in luoghi che abbiamo attraversato per realizzare il nostro lavoro. L’idea è quella di abitarli con dei corpi vissuti con libertà e leggerezza.
Passiamo a “Ladies Body Show”: come escono il corpo e la carne dalla pandemia?
Escono con delle riflessioni e dei pensieri che hanno cambiato il modo di percepire se stessi e il proprio corpo, e anche di avere attraversato questo tempo dove avevamo la grossa preoccupazione di non stare bene. Questo ha fatto sì che ci fosse il pensiero di capire il corpo che abitiamo, il valore che ci portiamo dietro e la relazione che si instaura tra il mio corpo e quello delle altre persone. Il grande cambiamento è avvenuto proprio all’interno di questa relazione.
Lo spettacolo rappresenta in realtà il modo in cui vengono guardati e giudicati questi corpi. Io non credo che sia cambiato dal pre-pandemico al post-pandemico, però sono sicuramente mutate delle modalità di relazione che influiscono sul giudizio del corpo degli altri. Riguardo a questo, la parte social ha un ruolo molto importante, perché toglie il corpo dalla relazione e fa sì che il dialogo tra le persone a volte diventi anche crudo proprio a causa dell’assenza di corpo. Devo dire che questo è un momento di grande ripresa anche per noi: si sente che c’è un grande desiderio di essere in teatro vicino alle persone, di ritrovarsi e di percepirsi vicine e vicini.
Perché la carne umana è sempre sottoposta a un giudizio pesante?
Perché l’apparenza conta molto e le si dà molto valore. Da qui nasce uno sguardo completamente giudicante.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli
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