Il 25 novembre alla Centrale dell’Acqua di Milano in piazza Diocleziano 5, al Museo di impresa di MM, si svolgerà la serata dedicata a Il conte di Kevenhüller, ultima opera pubblicata in vita da Giorgio Caproni. In scena Gigio Alberti e Mario Sala con la regia di Lorenzo Loris. L’evento è gratuito.
Il libro, che presenta una struttura da operetta, narra di una allegorica caccia a una fantomatica Bestia. Dalle prime letture, si percepisce il resoconto di una storia di partite di caccia fatta di ansie e appostamenti. Alcuni dei quali con se stessi.
La parola a Gigio Alberti
Il libro è strutturato come un’operetta. Quali sono le difficoltà di portare in teatro e di mettere in prosa un testo simile?
Per fortuna siamo accompagnati da Luca Garlaschelli, un musicista docente di jazz al Conservatorio di Milano, che suona il contrabbasso sul palco. Oltretutto, nel libro è anche indicato che la partitura vocale si accompagna a uno spartito musicale e viene citato il quartetto in La minore opera 132 di Beethoven: per chi suona è un riferimento utile, che in sostanza è un continuo alternarsi di elementi scherzosi e gravi, atmosfere solenni e prese in giro, esattamente come avviene con la parola.
Il conte di Kevenhüller emana un editto secondo cui esiste una bestia feroce che infesta la regione Lombardia. Bisogna quindi organizzare assolutamente una caccia. Chi catturerà la bestia otterrà in premio 50 zecchini. A quel punto tutti la cercano, ma nessuno la trova. I protagonisti si appostano, ma alla fine gli appostamenti risultano fatti con se stessi, perché i personaggi scoprono che il nemico principale è dentro di loro; non si tratta di un elemento esterno. L’aspetto difficile è rendere efficacemente in scena il continuo passaggio di tono dal solenne e dal grave allo scherzoso e alla beffa.
Che cosa rappresenta la Bestia?
Un pericolo che secondo alcuni sta all’infuori di noi. Quindi ci si rinchiude in casa. L’esempio di un nemico esterno che dal febbraio 2020 ci ha visti bloccati nelle nostre abitazioni a seconda dei vari lockdown è ancora evidente. Anche il Covid può essere definito una bestia, perché non è solo una creazione naturale ma anche umana. Ne abbiamo combinate talmente tante da riuscire a produrre noi stessi i nemici che ci distruggeranno. In alcune interviste Caproni ha detto la stessa cosa: le paure che ci creiamo sono abbastanza fasulle, perché se avessimo veramente dei timori, il nostro atteggiamento sarebbe molto diverso. Si tratta quindi di una caccia ridicola, perché ci lanciamo all’inseguimento di un nemico che fingiamo di combattere, ma contro il quale non ci misuriamo fino in fondo, perché se volessimo davvero affrontarlo, dovremmo cambiare parecchio i nostri atteggiamenti.
Questa è l’ultima opera pubblicata in vita da Giorgio Caproni. E’ una sorta di testamento spirituale?
Penso che l’eredità di un poeta sia la sua opera intera, non credo che si possa a ridurre a un solo libro. Il testo è del 1986 e se pensiamo a cos’è successo dall’inizio del 2020 ad oggi, sembra scritto ai giorni nostri: Caproni arriva a dire che il nemico cui diamo la caccia siamo noi stessi, che corriamo il rischio di spararci addosso, che se portiamo avanti seriamente l’inseguimento come intendiamo fare, ci tocca sparare alla nostra persona, perché i colpevoli finali siamo noi che facciamo paura a noi stessi senza rendercene conto.
In che modo questo spettacolo indaga il mistero della condizione umana?
Credo che lo faccia analizzando la nostra capacità di inventarci un avversario. Quella dello spettacolo è però una caccia indotta, perché alla fine, se avrà successo, frutterà al vincitore 50 zecchini. Oltre alla paura, quindi, c’è anche lo stimolo economico. Certe volte scateniamo delle cacce alle streghe, ci inventiamo un nemico quasi per giustificare la nostra esistenza, perché senza un rivale siamo costretti a fare i conti con noi stessi, che sono molto più amari rispetto a quelli che faremmo con un avversario esterno da affrontare. Se invece ci accorgiamo che il nemico è frutto della nostra invenzione e che il problema reale è molto più vicino a noi, la musica comincia a cambiare: da farsa diventa tragedia.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Ippolita Aprile per la collaborazione
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