Una maschera cela l’uomo contemporaneo; crea in chi la osserva pensieri distorti, grazie alla sua natura contraddittoria e inclassificabile. Sola, immersa nel suo spazio interiore, provoca l’anima di chi la guarda, in un luogo dove l’ irreale si confonde con il possibile. Qui e ora nasce e si diffonde l’arte del gioco.
Alice di Daniele Aureli (protagonista anche sul palco) e del regista Massimiliano Burini è in scena al Teatro Litta di Milano fino al 2 dicembre. In scena troviamo anche Amedeo Carlo Capitanelli, Stefano Cristofani, Matteo Svolacchia e Riccardo Toccacielo.
Quattro domande a Massimiliano Burini
“E’ quella di incuriosire e provocare la prima funzione di una maschera?”
“Forse sì o forse è solo uno strumento per essere più se stessi, perché si è un po’ protetti da qualcosa che divide da chi ci sta guardando. E’ una delle domande che ci siamo posti nello scrivere questo lavoro e nell’indagare cos’è una maschera, quanto racconta di sé e di chi sta dietro di lei. “
“E’ corretto dire che rappresenta il simbolo dell’arte dell’inganno o del gioco?”
“Non credo che si tratti dell’arte dell’inganno, ma di quella del gioco. Assolutamente sì. Credo che a volte sia molto più vera la maschera di quello che c’è dietro, perché è uno strumento dell’uomo per potersi raccontare di più; per poter uscire un po’ fuori da un lettore che ha uno sguardo diretto. “Quando si è un po’ “obliqui”, si viene osservati da un altro punto di vista. Questo forse aiuta a essere più veri, più spontanei, più crudeli e più duri. Dietro a una maschera c’è sempre un ‘più’, mai un ‘meno’.”
“Documentandomi per l’intervista, hai scritto che lo spettacolo è un’indagine per trovare un pretesto forte per andare fuori da noi stessi, stanando le resistenze più profonde. Approfondiamo un po’ quest’aspetto?”
“E’ lo scopo che abbiamo avuto per iniziare quest’indagine sull’identità. Abbiamo passato due anni a intervistare le drag queen in tutt’Italia. Abbiamo partecipato alle loro iniziative e ci hanno ospitato nei loro camerini. Quindi abbiamo avuto la possibilità di conoscere il mondo delle drag come ospiti graditi. Questo ci ha permesso di conoscere meglio un mondo meraviglioso, fatto di grandi artisti, di persone di un’umanità straordinaria raccontata con leggerezza, ironia, sarcasmo e grande intelligenza. La drag queen non è mai scontata. E’ una metafora continua della vita e della società. Quindi per noi è stato molto importante questo viaggio durato un anno e mezzo. Abbiamo raccolto molto materiale e insieme a Daniele Aureli, attore della compagnia, abbiamo scritto una drammaturgia in continua lavorazione. Incontriamo tante drag queen che ci aiutano a migliorare il tiro e a verificare delle cose. E’ stato un viaggio veramente interessante.”
“Dopo avere indossato una maschera, è tassativo gettarla e tornare se stessi?”
“Per me no. La maschera aiuta a trovare se stessi, a focalizzarsi, a pulirsi; anche a farsi leggere in modo più ampio. Io non credo che ci si debba togliere le maschere. Penso che forse sia necessario accettare di poterle indossare e farlo con coraggio. A quel punto la maschera comincia a diventare un filtro sempre più lieve. Diventa epidermide, pelle e quindi persona. Non credo che sia un luogo dietro al quale nascondersi, ma in cui scoprirsi.”
(intervista video di Andrea Simone)