Torna in scena al Teatro Delfino di Milano fino a domenica 13 novembre “Alveare di specchi”, prodotto dall’Associazione Il Mecenate. Una carrellata sul teatro, che dalla tragedia greca attraverso l’opera di Shakespeare e il dramma borghese, approda al teatro dell’assurdo del secolo scorso. Il testo è stato scritto da Federico Zanandrea, che insieme a Simone De Domenico ha firmato anche la regia.
Federico Zanandrea, unico interprete sul palco, darà voce ad alcuni dei personaggi più emblematici della storia della drammaturgia occidentale: da Edipo al perfido Iago, arrivando a Godot, che sembra non arrivare mai. Scandagliando diverse tipologie di personaggi sulla scena, potrà rappresentare l’evoluzione del teatro. Metterà così in luce le trasformazioni del suo linguaggio nei vari contesti storici e la sua capacità di mettersi in gioco.
Teatro.Online ha intervistato Federico Zanandrea, autore, regista e interprete della pièce.
“E’ un vero e proprio compendio del teatro quello che porti in scena?”
“Sì. Alveare di specchi parte dalla tragedia greca e arriva al teatro contemporaneo. Però è più un pretesto per parlare dell’utilità che ha il teatro oggi. E’ più un racconto che può mostrare anche come le diverse forme di teatro si siano avvicendate negli anni e come il teatro sia rimasto moderno anche quando tratta temi antichi come la tragedia greca. Quindi sì, diciamo che può essere considerato un compendio del teatro”.
“In che modo coinvolgete il pubblico?”
“Il pubblico è protagonista dello spettacolo in quanto è sul palcoscenico e guarda la platea. Il pubblico vede quello che di solito vedono gli attori, quindi vede le sedie piene o vuote che siano. E’ un’analisi che vuole portare anche il pubblico a essere protagonista perché a teatro il pubblico lo è esattamente come lo sono gli attori. Si gioca in due, a nessuno piace giocare da solo. Quindi il pubblico, essendo in scena, diventa parte integrante molto di più di quando lo è in platea. Questa visione che il pubblico ha lo rende protagonista di quello che è lo spettacolo”.
“C’è anche un discorso sulla vita in Alveare di specchi, giusto?”
“Sì, io sono molto affezionato ad Alveare di specchi perché racconta un po’ la nostra storia all’interno del teatro. Cioè il perché dei ragazzi appassionati di teatro investono i loro soldi, la loro energia e il loro tempo per fare delle cose e per compiere delle operazioni di carattere culturale. Questo racconta un po’ la nostra vita all’interno di quello spazio. Racconta però anche la vita che possono avere gli spettatori nel momento in cui vanno a teatro. Secondo me il teatro arricchisce. E’ qualcosa che ci rende più consapevoli, più maturi e responsabili. E’ importante andare a teatro. Nell’epoca di Twitter o di Instagram è un modo di ragionare diverso che ci arricchisce e ci rende più sicuri e più consapevoli di quello che ci accade intorno”.
“E’ anche un omaggio all’arte del teatro quello che avete voluto fare?”
“Sì, è sicuramente un omaggio all’arte del teatro e agli autori che hanno reso grande quest’arte. Il nostro è uno spettacolo comico, perché ha delle parti di narrazione. Usa due tipi di linguaggio: uno più alto che è quello che appartiene ai grandi autori come Shakespeare, Sofocle o Ibsen. Però ha un filone narrativo che si piega e che è un filone molto comico. Secondo me, la cosa bellissima di questo spettacolo è proprio che questi due linguaggi si integrano meravigliosamente. Questo crea uno spettacolo che non soltanto ha una componente didattica ma anche di intrattenimento. Quindi è un modo di fare comicità ma in maniera molto seria, molto consapevole e molto alta”.