Debutta lunedì 28 novembre al Teatro Libero di Milano, dove rimarrà in scena fino a giovedì 1° dicembre “Amorosi assassini”. Uno spettacolo scritto e interpretato da Valeria Perdonò, accompagnata al pianoforte da Marco Sforza.
Una finestra drammaticamente attuale sulla violenza sulle donne. Valeria Perdonò con sensibilità e ironia costruisce uno spettacolo che corre tra cronaca e poesia, tra documenti e musica, tra attualità e humour. Ispirandosi all’omonimo libro “Amorosi assassini” edito da Laterza, l’attrice raccoglie spunti lontani tra loro, da Esiodo ad Alda Merini, da Fabrizio De André a Giorgio Gaber, per poi tornare veloce all’oggi, agli articoli di giornale, per combattere l’indifferenza e cancellare per sempre la frase: “Facciamo finta di niente, dai”.
Teatro.Online ha intervistato Valeria Perdonò, autrice e interprete dello spettacolo.
“Un dato interessante è che oggi si parla di più della violenza sulle donne rispetto a un tempo. Perché secondo lei?”
“Per svariate ragioni. In primis probabilmente perché i numeri sono aumentati. Questo è il dramma del momento. In secondo luogo perché grazie a Dio i tempi stanno cambiando. Dal punto di vista legislativo e grazie alla convenzione di Istanbul, stalking e mobbing sono considerati un reato. Quindi effettivamente è stato portato all’attenzione sia dei governanti che dell’opinione pubblica un problema che con il passare del tempo non può essere solo relegato alla sfera privata. Molti dicono che la violenza sulle donne è sempre esistita. E’così. Questo è l’argomento che io affronto. Appartiene alla nostra cultura dalla notte dei tempi. Il delitto d’onore, secondo il quale un uomo era legittimato a uccidere la figlia, la compagna e la sorella se riusciva a dimostrare che era stato offeso nel suo onore, è stato abolito nel 1981. Non molto tempo fa, pensandoci bene”.
“Poi c’è il fatto che rispetto a un tempo le vittime hanno più coraggio di uscire allo scoperto, si vergognano di meno”.
“Anche. Io sono una donna di 34 anni, non ho mai subito niente del genere, però potrebbe capitare anche a me. Sicuramente noi siamo figlie del femminismo che ci ha regalato una serie di conquiste. Quindi questo è indiscutibile, è un fatto. Noi oggi abbiamo una libertà che le nostre nonne sicuramente non avevano. Le nostre mamme sono entrate in questo nuovo tempo e quindi hanno più coraggio. Mi piace pensare che sia un cane che si morde la coda in senso positivo: all’attenzione pubblica, almeno in Occidente, sono state presentate una serie di richieste legislative e di campagne di sensibilizzazione. I social media hanno fatto la loro parte. Quindi dovremmo essere felicissimi, perché abbiamo una serie di leggi, di denunce, tantissimi centri antiviolenza che però hanno moltissimi problemi di sovvenzioni e sono vittime di tagli di fondi. Dobbiamo invece essere preoccupati perché i casi aumentano esponenzialmente.
Sembra una psicosi collettiva che non si ferma. La cronaca ci presenta casi sempre più efferati: donne incendiate, sfigurate con l’acido e sfregiate. Non si riesce neanche più a tenere il conto. All’inizio avevo pensato di tenere il conto ogni anno dei numeri e dei nomi. E’ impossibile, ci ho rinunciato, non ha senso. Diventa veramente difficile starci dietro. Secondo me è un problema atavico della nostra cultura, del nostro punto di vista. E’ certamente un problema di tutti noi. Il senso del sottotitolo ‘Facciamo finta di niente, dai’ è che nonostante una civiltà illuminata, indipendente e che ha fatto tante conquiste, noi nel 2016 siamo ancora a dire frasi come ‘I panni sporchi si lavano in famiglia’. Si pensa ancora che questi fatti avvengano solo nelle classi più basse. Non è così”.
“In questo spettacolo è molto importante la figura di Francesca Baleani. Lei ne parla molto. Vuole anticipare chi è agli spettatori?”
“Sì. Io ho preso per caso il libro Amorosi assassini e ci ho trovato dentro questa storia. L’ho scelta perché nonostante lei sia stata picchiata e quasi uccisa dall’ex marito, questa vicenda ha avuto un lieto fine. Si è salvata per miracolo ed è una donna straordinaria che sta molto bene. Con grande forza si è ricostruita una vita. Mi ha colpito perché il suo ex marito era il direttore del Teatro di Macerata. Ovviamente aveva un link con me molto forte. Quindi questa vicenda si è consumata in un contesto sociale molto elevato, cosa che ancora oggi noi siamo portati a non credere. Ci piace pensare che questi episodi avvengano nel paesello sperduto degli ignoranti oppure che ne sia protagonista un immigrato con la sua disperazione. Invece uso questa storia per dire che una donna ce la può fare ma anche che può accadere a tutti noi.
Dovremmo trovare la forza di guardarci intorno e di intercettare i piccoli gesti che ci circondano perché la violenza non è soltanto fisica e sessuale. Tutt’altro. Prima di arrivare allo stalking o al mobbing sul lavoro, che è sempre fonte di problemi psicologici pesanti, è violenza quella che si fa tutti i giorni con pregiudizi, stereotipi e discriminazioni insiti nella nostra cultura. Secondo me c’è una grandissima responsabilità femminile nell’educazione e nella convivenza fra donne. Se noi siamo le prime a non dare valore alla nostra persona e alla nostra dignità, ma a sostenere e a perpetuare una serie di stereotipi, io non penso che servano leggi o chissà quali altri interventi”
“Inevitabile parlare di un altro spettacolo molto simile a questo: Ferite a morte. Lei lo ha visto e se sì che cosa ne pensa?”
“L’ho visto e a Lella Costa, Orsetta De Rossi e Serena Dandini va il merito di avere concretizzato un progetto molto bello. Vanno in tournée in tutta Italia e ogni volta che arrivano in una città chiamano a partecipare delle personalità politiche e sociali di quella città che si sono distinte per l’impegno in questa causa. L’hanno scorso sono venute a Mantova e mi hanno invitato. C’erano avvocati, giuriste, donne della società delle pari opportunità. C’eravamo io e un’altra attrice che avevamo fatto questo percorso e ci eravamo impegnate in questo senso. Conosco benissimo il testo. E’ un’operazione che a me piace molto. Però è una creazione dal nulla dell’idea del modo in queste donne racconterebbero le loro storie se fossero ancora vive. E’ un progetto che sta andando molto in giro e questo fa anche capire quanta volontà ci sia di parlarne.
Io lo vedo anche con il mio piccolissimo progetto. Lo faccio moltissimo anche nelle scuole, in molti centri, nei teatri normali. La strada che ho cercato io e che mi piace pensare che funzioni è che cerco di affrontare questo argomento con il sorriso sulle labbra. Ma non per essere irriverente o per sminuire la gravità del problema, ma perché a me piace farci un mezzo sorriso che poi diventa un riso amaro. C’è un pianista in scena, quindi cantiamo moltissimo. Credo che la musica possa stemperare e aiutare davvero a riderci su e a metabolizzare i fatti. Il mio tentativo è questo. Almeno cerchiamo di parlarne”.
“Le è mai capitato di conoscere personalmente una donna vittima di violenza?”
“Sì e no. Nel senso che ho assistito a un episodio in cui ho chiamato la polizia perché andasse in aiuto della mia vicina. Lei però non si è ribellata. Io ho chiamato la polizia che è arrivata, ma la cosa che mi ha molto frustrato è che il mio tentativo è stato inutile. Spesso le donne dicono la classica frase ‘Sono caduta dalle scale’. Io adesso sto vivendo una situazione che temo sia molto vicina non a una violenza psicologica, ma ad un rapporto un po’ malato. Sono veramente con le mani in alto e chiedo anche al pubblico che cosa si fa, quanto è difficile intervenire quando la violenza non si vede. A me fa ancora più paura, perché è una violenza bianca, senza sangue ed è pericolosissima. E’ più sottile, più difficile da riconoscere ed è anche molto difficile intervenire.
Dopo lo spettacolo, quando vado in tournée faccio dei dibattiti. Questo è l’argomento che mi interessa più di tutti. Però il mio è uno spettacolo. Non posso affrontare tutti gli argomenti che sarebbero da aprire. Però questa è una cosa che può interessare tutti noi perché al di là dell’efferatezza questa è una violenza che non si vede. Però io mi auguro veramente che parlandone sempre di più si possa almeno riflettere insieme”.