Erano le 22.37 del 9 ottobre 1963 quando 270 milioni di metri cubi di roccia precipitarono alla velocità di 110 km/h staccandosi dal Monte Toc. Caddero nel bacino artificiale creato dal torrente Vajont al confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. L’onda che si sollevò raggiunse un’altezza di 250 metri e distrusse quasi completamente Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto e Casso dove in totale le vittime accertate furono 1910. Se si contano anche i corpi che non vennero mai ritrovati, i morti furono più di 2000.

A 60 anni da quella tragedia, Andrea Ortis, autore, attore e regista, porta in scena il 21 novembre al Teatro Ambra Jovinelli di Roma Il Vajont di tutti – Riflessi di speranza, uno spettacolo da lui scritto che lo vede anche protagonista con Michele Renzullo, Selene Demaria, Elisa Dal Corso, Mariacarmen Iafigliola e Jacopo Siccardi.
Parla Andrea Ortis
Quali furono le colpe dei dirigenti e progettisti che costruirono la diga alta 270 metri e quelle della Sade, l’ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione?
Sono colpe processuali che la verità storica ha poi dichiarato: avidità e condizioni esterne che hanno spinto la Sade a tirare troppo la corda. Era il periodo storico del secondo dopoguerra e avevamo bisogno di tutta l’energia per ricostruire l’Italia. A quell’epoca forse avremmo dovuto fare qualche bacino in meno. Soprattutto le persone che gestivano i luoghi di comando della Sade avrebbero dovuto stare più attenti a quello che facevano. Le avvisaglie erano state mille: scosse di terremoto, la paura della gente, altri indici e rapporti matematici. Quando l’uomo si spinge oltre il dovuto e pensa di governare la natura, ad andarci di mezzo è la gente. E così è stato
Furono sottovalutati altri eventi franosi che avrebbero dovuto mettere in stato di allerta le autorità al fine di impedire che si verificasse la tragedia?
Sì, poco tempo prima, ci fu il caso della frana alla diga di Pontesei, che era uno dei tanti bacini costruiti dalla Sade lungo il corso del Piave. Quella volta perse la vita “solo” una persona, Arcangelo Tiziani, il custode di quel luogo. C’erano però stati mille segni premonitori. Una serie di perizie e relazioni avevano dimostrato che il lato del Monte Toc era una paleofrana appoggiata su un terreno di scivolamento.
E poi nel 1985 ci fu la tragedia della Val di Stava e nel 1987 l’alluvione in Valtellina.
La narrazione parla di tutta una serie di altre tragedie che per lo stesso motivo si sono rinnovate e si rinnovano: come le alluvioni in Romagna, Toscana e Liguria. L’uomo si appoggia all’ambiente e invade i suoi spazi con un’incuria generale. Il vero filone narrativo è la speranza: la capacità umana di fare schifezze, ma anche cose straordinarie; di decidere se morire o resistere dopo aver guardato in faccia il dolore continuando a vivere.
Quanto fu importante la figura della coraggiosa giornalista Tina Merlin?
Importantissima. Se andiamo a vedere l’Italia, ci accorgiamo che è tutta provincia. Le piccole comunità non hanno una voce. C’è però chi decide di mettere al servizio degli altri la propria voce. Lo fa per carisma, per passione, per orgoglio, per coraggio e ce ne vuole tanto! Tina Merlin fu un megafono che diede voce ai contadini e ai montanari di Erto e Casso, che avevano capito il pericolo e non riuscirono a proteggersi.
E che prima della tragedia rimasero inascoltati?
Assolutamente sì. Tina Merlin è stata una figura fondamentale che ha dato una linea di speranza in una lotta che spesso, anche oggi, sembra impari.
Perché la catastrofe del Vajont appartiene a tutti noi?
Perché la tragedia in sé non è grande o piccola per il numero delle vittime. Ogni morte è una catastrofe immane. Poi lo diventa quando ci tocca. Nel momento in cui perderemo qualcuno, incontreremo tutti un Vajont più o meno voluto. In quel momento dovremo decidere cosa fare. Quando si è giovanissimi non si sa che cosa sia il tempo. Paradossalmente è la morte a darne il senso. L’uomo ha la capacità di avere un coraggio immenso e di attaccarsi a un istinto di sopravvivenza straordinario.
Per chi fa teatro è più facile sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a eventi come quello del Vajont, rispetto alla politica o ai mass media, che a volte parlano un linguaggio non alla portata di tutti, come il “politichese” o il “giornalistese”?
Credo di sì. Il teatro è uno strumento potente perché si risolve in un unico tempo: il presente. Si esprime con la presenza di persone che ascoltano. I futuri tecnici, geologi e ingegneri sono quelli che oggi vengono a contatto con questo tipo di storia. Il teatro è forte, ma arranca rispetto alla potenza “politichese” o televisiva, perché oggi è difficile trovare una produzione che investa su uno spettacolo ben fatto. Noi lo portiamo in giro da sei anni, ma presenta un tema sensibile che insiste naturalmente nell’anima delle persone. I riscontri dei giovani sono straordinari. Quando le persone si alzano in piedi e applaudono commosse con una standing ovation di 10-15 minuti, si sente l’utilità del teatro e la sua verità.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli
- Clicca QUI per iscriverti al canale YouTube di Teatro.Online e vedere tutte le nostre interviste video.
Ecco le prossime date di Il Vajont di tutti dopo lo spettacolo del 21 novembre al Teatro Ambra Jovinelli di Roma:
PESCARA – TEATRO CIRCUS 24 novembre 2023
· COSENZA – TEATRO RENDANO 28 novembre 2023
· AZZANO DECIMO – TEATRO MARCELLO MASCHERINI 10 e 11 dicembre 2023
· BOLOGNA – TEATRO CELEBRAZIONI 14 dicembre 2023