Un uomo ha appena compiuto una rapina in una piccola banca. Dopo essere scampato a un inseguimento della polizia, tiene in ostaggio in una panetteria quattro persone. Le forze dell’ordine riescono però a raggiungerlo ed inizia un’estenuante trattativa fatta di proposte e controproposte. Una situazione difficile, resa ancora più assurda e grottesca dalle quattro diverse tipologie degli ostaggi: il panettiere, un’anziana pensionata dal precario stato di salute, una prostituta schietta e anticonvenzionale e un extracomunitario.
Ostaggi è uno spettacolo scritto e diretto da Angelo Longoni in scena al Teatro San Babila di Milano dal 23 al 25 febbraio. Ne sono protagonisti Michela Andreozzi, Jonis Bascir, Pietro Genuardi, Gabriele Pignotta e Silvana Bosi.
La parola a Michela Andreozzi
“Ci vuole parlare un po’ del suo personaggio?”
“Ambra fa il mestiere più antico del mondo nella versione più moderna del mondo. E’ una escort, una peripatetica 2.0, ma ha scelto di esserlo in seguito alla crisi economica che ha colpito gli italiani. E’ quindi una donna che ha fatto di necessità virtù, e lo ha fatto rinunciando anche a una vocazione che verrà fuori durante lo spettacolo e che racconta di un passato molto controverso”.
“E’ giusto definire questo testo una metafora delle disuguaglianze economiche, sociali e razziali che ormai da diversi anni caratterizzano la nostra società?”
“Credo che sia più appropriato definirlo un dramedy, cioè un genere a cavallo tra il dramma e la commedia. Presenta infatti una visione della crisi che ha attraversato la nostra società negli ultimi anni. Tutto però viene analizzato con un occhio molto brillante, divertito e forse arricchito da quella punta di ottimismo di chi pensa che forse, anche grazie all’umanità che ci lega, ne stiamo uscendo.
“C’è in atto tra i protagonisti una lotta per la sopravvivenza?”
“All’inizio sì, ed è una lotta molto umana e comprensibile che sfocia però in un senso dell’umanità tipico della drammaturgia di Angelo Longoni. Alla fine, infatti, la collettività diventa il soggetto e non più l’oggetto del testo”.
“Quanto spazio c’è per la risata e quanto per la riflessione?”
“Nonostante quello che si potrebbe pensare, è un testo che fa ridere moltissimo. Quindi il risultato finale è dato dalla somma di un 70% di risate e di un 30% di riflessione, una riflessione che però va molto in profondità. Il pubblico la porta con sé anche quando esce dal teatro”.