“ANDY WARHOL SUPERSTAR”: FU VERA GLORIA?

Andy Warhol superstar è uno spettacolo che indaga la biografia intima di Andy Warhol a confronto con quella pubblica: la sua curiosità per tutto ciò che era trasgressivo ed estremo e la sua fede cattolica, il suo rapporto con gli Stati Uniti, i soldi e il potere, il sesso e la castità. Ideato e diretto da Laura Sicignano, anche autrice del testo con Alessandra Vannucci, lo spettacolo vede come unica protagonista Irene Serini ed è in scena al Teatro Litta di Milano dal 5 al 10 febbraio.

Parla Irene Serini

“Su quali aspetti della personalità di Andy Warhol vi siete concentrati?”

“Ci siamo concentrati sul suo vissuto della Factory. Quindi stiamo parlando di una dimensione festaiola e alluncinata, perché la Factory era un luogo in cui le anfetamine la facevano da padrone. Ci siamo concentrati anche sullo sguardo che gli altri avevano di Andy Warhol. C’è una parte dello spettacolo in cui noi entriamo in contatto – all’interno della dinamica delle feste – con le figure che gravitavano intorno a lui, che lo mitizzavano e che vedevano in lui quello che è stato: un artista che ha rivoluzionato l’arte del ‘900. Avevano un’immagine semidivina, erano fortemente attratti dalla figura di Andy Warhol. Dall’altra parte c’è lo sguardo intimo. Noi solitamente presentiamo il lavoro come una biografia pubblica e intima di Warhol. Fu la madre a farsi carico più di tutti della parte intima. La madre ci parla di lui e ci racconta di quando era bambino, non dell’Andy Warhol di cui tutti ci siamo fatti un’idea. Era una persona fragile, che aveva un rapporto viscerale con la madre, di difficile comprensione e verbalizzazione. Nel momento in cui la madre è morta, Andy Warhol non ne ha fatto parola con nessuno. Questa personalità così complessa ha due punti di sguardo: quello degli amici della Factory e quello di sua madre.”

“Era davvero un genio o forse è un artista un po’ sopravvalutato?”

“Senz’altro Andy Warhol è stato un abile pubblicitario, è evidente in tutte le cose scritte che ci ha lasciato, perché sono quasi degli slogan. Sono cose che riescono a schifarci e a farci riconoscere nello stesso momento. Una frase come “tutti mi somigliano, tutti si somigliano” ci fa capire in un istante quanto corriamo il rischio dell’omologazione. Direi che è stato geniale in alcune sue intuizioni, visionario, capace di avere uno sguardo distaccato nei confronti della società e questo gli ha fatto fare sostanzialmente tanti soldi. Non so se sia stato un genio, i geni sono pochi. Senz’altro è stato un pubblicitario che ha saputo diventare un artista.”

“Perché la sua vita è una fiaba sinistra?”

“La fiaba sinistra nasce dal fatto che Andy Warhol era una persona che aveva in sé un’unione di svariati opposti. E’un uomo che ha saputo esibire e vivere la propria femminilità. E’ un bambino che ha saputo esprimersi anche con un adulto. Io ho l’impressione che sia anche una sorta di Cristo diabolico, che riesce a esprimere in sé qualcosa di estremamente brillante, bellissimo e allo stesso tempo temibile e incendiario. Quindi la fiaba sinistra e cupa in lui lo è ancora di più.”

“Era anche una persona molto sola?”

“Soffriva di quella solitudine che invade coloro che sono sempre circondati da persone che non riescono a vedere la persona in sé, ma sono in realtà abbagliate dal fatto che la persona è un personaggio. Io credo che capiti spesso a chi riesce a elevarsi a un livello di successo, di fama e di arte. La solitudine è qualcosa con cui devono fare i conti. Credo che lui l’abbia fatto. Forse proprio per questo aveva un rapporto fortissimo con la madre, che aveva il ruolo di conoscerlo profondamente e di accettarlo al di là della conoscenza effettiva o presunta. Direi che è stato una persona molto sola, anche se era circondato da persone che possono aver provato affetto e possono averlo idealizzato.”

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la gentile collaborazione