L’Anfitrione del 2019 è un arrembante politico, o meglio un dilettante populista che, con la sua esordiente formazione politica, ha appena sbaragliato gli avversari con un sorprendente e inatteso plebiscito. Sosia, che Plauto e Molière vollero suo servitore, si è trasformato in un autista portaborse, mentre la bella Alcmena, moglie del trionfatore delle elezioni e prossima First Lady, è divenuta insegnante di scuola media di una piccola città di provincia.
Anfitrione di Sergio Pierattini è in scena al Teatro Manzoni di Milano dal 31 ottobre al 17 novembre. Diretto da Filippo Dini, vede protagonisti Gigio Alberti, Barbara Bobulova, Antonio Catania, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Valerio Angelozzi.
Intervista a Gigio Alberti
“A quale dei nostri politici è più somigliante quest’Anfitrione?”
“Direi che non c’è un esempio fisico concreto. Diciamo che è un politico di nuova generazione. Non è uno che ha fatto le scuole politiche per diventarlo. E’ qualcuno che si è abbastanza improvvisato e grazie a un colpo di fortuna, che poi si rivelerà essere un intervento divino, è riuscito ad avere il favore popolare a sorpresa, perché nessuno si aspettava questo successo.”
“Perché qui i protagonisti si sdoppiano?”
“Perché purtroppo la schizofrenia fa parte della natura umana. Nessuno è uno solamente. Ci sono sempre due lati quando ce ne sono solo due, spesso ce ne sono molti di più. In questo caso una parte è quella umana, quella più fragile e corruttibile, a volte meno felice. Un’altra è quella divina, quella che ognuno di noi potrebbe essere, se fosse sempre al meglio, sempre puro, sempre perfetto e sempre alla ricerca della cosa migliore. Il confronto è tra quello che uno potrebbe essere e quello che uno è, che è spesso un confronto amaro.“
“In che modo si manifesta la divinità in Anfitrione?”
“A sorpresa. Nessuno se lo aspetta e nessuno lo sa fino alla fine. Anche quando viene spiegato, l’umano fa fatica a capire che c’è un intervento divino. Certo, anche il Dio, entrando nelle faccende umane, necessariamente si sporca. E’ impossibile toccare il terreno senza averne delle tracce addosso. E oltretutto scopre che anche queste forme di infelicità, questi rapporti così incancreniti in negativo, sono spesso preferiti a un rapporto super positivo, ideale. Delle volte la coazione a soffrire, a ripetere gli errori, è più forte della possibilità di andare verso la felicità. Questa è una sorpresa per lui. Oltretutto alla fine rinuncia perché capisce che gli umani sono perduti, non hanno possibilità di uscire dal posto dove si sono infognati. L’unica che forse riuscirà in qualche modo a tirarsi fuori da questa vicenda è Alcmena, che ha un finale che sembra presupporre un rifiuto di questo degrado dell’umanità.”
“E’ una dimensione da incubo quella in cui è inserita la storia?”
“Sì, lo è necessariamente, perché purtroppo si vede raramente un intervento divino. Quindi anche le luci e l’atmosfera dello spettacolo sono da incubo. Ogni personaggio è continuamente rivoltato da qualcosa che probabilmente ha dentro la propria testa e in questo caso viene concretizzato. E’ come se i fantasmi di ognuno si concretizzassero improvvisamente e chiaramente creano guai, perché esserci e avere davanti il proprio doppio crea una situazione difficile da risolvere. Per tutti e due: per il doppio e per l’originale.”
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Manola Sansalone per il supporto professionale