E’in scena fino al 24 febbraio al Teatro Fontana “Anfitrione”. La leggendaria commedia scritta da Plauto oltre due millenni fa si trafserice in un sud sanguinario, dove a farla da padrone sono il rispetto del codice d’onore e molto spesso la legge del taglione. Rimangono però tutti gli elementi leggendari del rapporto tra uomini e Dei con metamorfosi inattese. In scena sei attori e un musicista capitanati dalla regista Teresa Ludovico, anche autrice della sceneggiatura.
La parola a Teresa Ludovico
“Perché avete deciso di ambientare la vicenda di Anfitrione nel sud del mondo?”
“Perché l’antefatto della storia mi ha dato la possibilità di cercare un ambiente dove fosse possibile calare la situazione: secondo l’antefatto, Anfitrione, dopo aver ucciso il padre di Alcmena, la sposa. Lei chiede in cambio di risolvere una vecchia questione delittuosa. Dov’è possibile una cosa del genere se non nella malavita? C’è un bellissimo monologo di Alcmena in cui lei elenca tutte le caratteristiche della donna d’onore: rispetto del marito, onore e famiglia.
Queste donne sono molto forti, perché Alcmena chiede di vendicare dei delitti. Tutto questo avveniva prima nelle battaglie. Oggi lo spettacolo è dedicato alle nuove generazioni, perché noi abbiamo il dovere di avvicinare i giovani ai classici che sono portatori di certi valori. Quando faccio una riscrittura è importante ancorarmi al presente. Quindi l’antefatto mi ha dato questa possibilità, ma alla fine il testo che metto in scena è lo stesso di Plauto.”
“Quanto rimane del mito?”
“E’ quello originale, cambia semplicemente il contesto. I personaggi, anziché andare in battaglia vanno in una pizzeria e aprono una sparatoria. Anziché usare le spade, sparano con le pistole. Per il resto, il linguaggio è crudo e violento esattamente come ce l’ha proposto Plauto. Tutto lo spettacolo ruota intorno al furto d’identità e alla costruzione del nostro doppio. Plauto ha coniato la tragicommedia proprio in quest’occasione, perché abbiamo l’incontro del mondo superiore con quello inferiore: tra Dei e popolo.”
“Quindi la totalità di questo spettacolo è data dall’interazione tra divino e umano?”
“Esattamente. Per la prima volta nel mito, Giove diventa un essere umano, perché prima si era solo trasformato in pioggia d’oro e in cigno in tutte le metamorfosi. In questa vicenda riassume le sembianze di Anfitrione e nasce una storia dedicata al teatro. Questo passaggio dal mondo superiore degli Dei è anche il nostro alter ego e rappresenta le nostre passioni.
Mercurio mette lo spettatore nella condizione di capire tutta la storia, perché fa una presentazione dove tutto è molto chiaro come in ogni commedia classica. Chiede da subito la complicità in questo mondo di finzione, quindi Mercurio e Giove sono un altro doppio: padre e figlio. Alcmena è la sua serva e Anfitrione il suo cervo.
Ho un allestimento molto semplice e particolare fatto di specchi teatrali su ruote. Questo chiarisce anche la drammaturgia. Lo spazio può essere completamente libero. Ma a seconda del movimento degli elementi messo in atto dagli attori, noi vediamo il riflesso e la moltiplicazione delle azioni stesse. Si entra anche in un discorso molto onirico riguardo al sogno, all’identità e alla riflessione degli sguardi altrui.”
“In che modo musica e prosa si completano qui a vicenda?”
“La musica è scritta dal maestro Michele Jamil Marzella, che in scena suona due strumenti: la tuba tibetana e il trombone. Anche qui torna il discorso del doppio: la prima porta gli echi di un mondo mitico e archetipico. Il secondo, invece, ci riporta alle situazioni più popolari delle feste dionisiache.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringraziano Martina Parenti e Michela Ventrella per la gentile collaborazione
Tutto il cast dello spettacolo
“Anfitrione” vede protagonisti Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano Di Cola e Giovanni Serratore.