Una donna è sola in scena mentre nevica. Sono gli utlimi dieci secondi della sua vita prima che il passaggio di un treno la cancelli definitivamente. Rivede i propri ricordi e i propri rimpianti, e anche se il destino sembra non lasciarle scampo, capisce di avere ancora delle decisioni da prendere. E poi ci sono le parole, quelle in conflitto con il mondo e con loro stesse e – cosa forse ancora più grave – quelle che forse non sono mai state dette.
Anna K – Una vivisezione di me è in scena alla sala La Cavallerizza del Teatro Litta di Milano dal 17 al 27 gennaio. Liberamente ispirato ad Anna Karenina di Lev Tolstoj, è stato scritto, diretto e interpretato da Debora Virello. Simona Gonella ha il ruolo della prima spettatrice.
Quattro domande a Debora Virello
“Sono attimi in cui Anna vede passare davanti a sé il film della propria vita?”
“Sì, però sono attimi in cui la vita che vede passare non è fatta di avvenimenti, ma di istanti. E’ quindi costituita da cose che per lei sono state importanti e che le hanno fatto prendere delle decisioni, anche mentre sembrava che non facesse assolutamente niente. Sono frammenti.”
“Cosa significa che Anna ha voluto diventare afasica?”
“Significa che lo spettacolo è un monologo di un’ora dove io non parlo mai. E’ un’ora di narrazione e di parola. Le cose che si dicono sono tante, però tutto non avviene attraverso la mia voce, ma tramite supporti audio messi in sala, perché Anna – che sono io – non ha più voglia di parlare né di spiegare cosa la fa stare così male da pensare di farla finita. In questo caso più che un suicidio reale è un suicidio artistico. E’ un treno artistico, metaforico.”
“Qual è il conflitto che vive Anna?”
“E’ quello tra una passione totalizzante – che nel suo caso si chiamava Vronskij e nel mio si chiama teatro – e tutto quello che dovrebbe far parte di una vita normale: un matrimonio, un figlio, un lavoro con orari regolari. Spesso invece il teatro non ci fa avere orari per parlare di socialità, non ci concede il tempo per avere una vita sociale e la maggior parte delle volte pensiamo a quello che vorremmo fare o che stiamo provando in quel momento. Io spesso definisco il teatro un amante geloso: è qualcuno che non ha troppa voglia di avere contendenti. Non è sempre facile vivere in questa dicotomia.”
“E’ Anna che non ha saputo trovare le parole più appropriate o è il mondo che non è stato in grado di ascoltarla?”
“E’ la domanda che io ho scritto ma per la quale non ho una risposta definitiva. Gli spettatori che vengono a vedere questo spettacolo – scomodo e a tratti anche fastidioso – vengono volutamente messi in una condizione di disagio. Mi piace che il pubblico esca con una propria risposta e che si chieda se non è stato in grado di fare la cosa giusta o se Anna non si è saputa spiegare. E’ quello che avviene in ogni atto creativo artistico.
Uno spettacolo può piacere molto o può non piacere per niente, ci si può capire subito o non capire. Dov’è che non funziona la comunicazione? In chi tenta di dire o in chi arriva a teatro con uno stato d’animo inadeguato a un luogo sacro? Per me il teatro è un luogo sacro. Ci si deve andare con una determinata disposizione d’animo, non soltanto per l’intrattenimento. Ci si può anche divertire molto, uno non si deve per forza annoiare, ma non si sta come sul divano di casa.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la gentile collaborazione