Il Teatro Franco Parenti di Milano propone fino a domenica 21 gennaio I ragazzi del massacro, tratto da un romanzo di Giorgio Scerbanenco. La regia è di Paolo Trotti e ne sono protagonisti Diego Paul Galtieri, Stefano Annoni e Federica Gelosa. E’ uno spettacolo che tratta di giustizia e della necessità di perseguire la verità anche quando tutti sono convinti del contrario. Tratta dell’importanza di un pensiero autonomo. Tratta di una maestra assassinata dai suoi undici allievi della scuola serale, un giorno di maggio del 1968, e di un uomo che non si arrende alle apparenze. Di una voce fuori dal coro, quella di Duca Lamberti, che non vuole il mostro in prima pagina, ma crede che la giustizia sia sopra ogni convenienza. La giustizia è etica. E’ politica.
Intervista a Stefano Annoni
“Quant’è importante il tema della giustizia in questo spettacolo?”
“Il tema della giustizia in questo spettacolo è centrale. E’ una giustizia che però va oltre i suoi procedimenti normali. Abbiamo un protagonista, che è Duca Lamberti che cerca qualcosa di più della giustizia, cerca la verità. Per farlo, essendo lui al di fuori degli schemi perché non è un vero e proprio poliziotto, essendo un medico radiato perché ha praticato l’eutanasia, usa dei metodi diversi, particolari, alle volte al limite della violenza psicologica. Altre volte invece entra in empatia con i ragazzi e cerca di arrivare alla verità. La giustizia è centrale. Lui cerca e combatte titanicamente andando contro quelli che sembrano i colpevoli o il colpevole già predestinato”.
“Qui la verità viene vista come un bene necessario?”
“Sì, perché i nostri protagonisti, sia Duca Lamberti che Livia Ussaro che è la sua compagna di indagine, ma anche Carrua, lo stesso commissario, vanno avanti per necessità. Il caso sembrerebbe chiuso. La maestrina è stata uccisa, i ragazzi sono stati arrestati, hanno fatto una loro confessione e quindi il caso dovrebbe essere chiuso. Invece la necessità di andare avanti alla ricerca della verità porta allo svolgimento del romanzo di Scerbanenco”.
“Quali sono i conflitti che i protagonisti portano dentro di loro?”
“I conflitti sono tanti, perché la ricerca di verità a tutti i costi porta a una situazione come quella di una persona che cerca di fare del bene e invece poi gli capita di fare del male. E’ una verità che è impossibile da raggiungere. Quindi i conflitti sono in partenza e all’interno delle azioni dei personaggi. Duca Lamberti ha un grande conflitto con se stesso perché i sacrifici fatti dalla sua famiglia per farlo studiare e per farlo diventare medico lui li ha fatti tramontare immediatamente praticando l’eutanasia. E’ stato radiato dall’albo e non può più praticare come medico. E’ come qualcuno che non ha più niente da perdere.
La sua compagna di viaggio Livia Ussaro è una sociologa. In questa riscrittura Paolo Trotti l’ha identificata con il Sessantotto. E’ un’assistente di sociologia alla Statale e porta avanti la parte culturale della Rivoluzione del Sessantotto. Lei ha un suo conflitto personale perché è una bellissima donna. Viene descritta come un’indossatrice, ma durante un’indagine precedente è stata sfregiata da un maniaco e quindi porta in faccia i segni degli errori di Duca Lamberti e i suoi. Quindi ha questo doppio conflitto personale e fisico ma anche intellettuale, perché è portatrice della rivoluzione culturale e del cambiamento del Sessantotto.
Carrua stesso, che fa parte di un’altra generazione rispetto ai due, ha un grosso conflitto, perché essendo il capo della polizia, ha un certo ruolo istituzionale, ma allo stesso tempe vede anche quando si commettono degli errori. Quindi è un buono che ricerca la verità e la giustizia, ma deve tenere i fili di tutto. Il grosso conflitto che affrontano tutti quanti è all’interno dell’epoca: siamo nel 1968, un’epoca di grandi cambiamenti che loro stessi avvertono, anche se forse soltanto Livia è già un passo oltre i due investigatori. Duca Lamberti e Carrua sono ancora figli di un’epoca passata, nonostante vedano già il buono della rivoluzione”.
“E’ giusto definire questo spettacolo un lungo viaggio dentro i segreti dell’anima?”
“Sì, è una definizione un po’ altisonante, però sì. Noi abbiamo cercato di tirare fuori l’anima dei personaggi che Scerbanenco descrive al limite dell’essere umano, perché i personaggi della classe sono stati in riformatorio dove sono finiti per atti osceni, piccoli furti o questioni di droga. Il colpevole è un mostro. Quindi cerchiamo di tirare fuori l’anima di questi personaggi al limite. I tre protagonisti sono al limite, non hanno quasi più niente da perdere, quindi si buttano alla ricerca della verità.
Abbiamo cercato di tirare fuori un’anima che in Scerbanenco è molto presente. E’ considerato il padre del noir italiano, ma allo stesso tempo quando leggiamo i suoi romanzi ci perdiamo un po’ nella storia. Non ci interessa così tanto capire qual è la prova che ci dà il colpevole. Ci interessa di più capire le motivazioni per le quali è avvenuto questo massacro. Questa è una storia di vendetta, di omofobia, di droga, di ragazzi lasciati da soli da una società che non riesce a gestire appieno gli ultimi. Tiriamo in ballo tantissimi temi importanti e quindi gli spunti di riflessione sono davvero molto numerosi”.