“L’APPARENZA INGANNA”: PARLA ROBERTO TRIFIRO’

Il Teatro Out Off di Milano propone fino a domenica 12 febbraio L’apparenza inganna. Si tratta di una prima nazionale per la regia di Roberto Trifirò, che ne è anche protagonista con Giovanni Battaglia.

Storia di due fratelli

Due anziani fratelli, Karl, ex giocoliere e “Artista dei Piatti” e Robert, ex attore, si incontrano il martedì e il giovedì, rispettivamente a casa dell’uno e dell’altro, forse nel tentativo di far dialogare le loro solitudini. Tra foto ricordo del passato artistico, vecchie radio, vecchi giradischi, vecchi mobili, i due fratelli ci rivelano la loro solitudine, il loro narcisismo, la loro superficialità, lasciandoci intravedere nella loro vocazione per l’arte la possibilità di una vita più umana.

La parola a Roberto Trifirò

Teatro.Online ha intervistato Roberto Trifirò, regista e protagonista dello spettacolo.

“Che cosa viene fuori dall’incontro tra questi due fratelli?”

“E’ un flusso di pensieri, di parole, di voce e di quello che sentono. E’ un incontro tra due solitudini. Viene fuori la loro vita di adesso con i ricordi del passato. Uno è un artista del varietà, Karl, quello che faccio io. Invece l’altro personaggio è un attore. Quindi al centro dello spettacolo c’è il declino della vita, la loro ultima spiaggia. Si incontrano il martedì e il giovedì ogni settimana. E’ un modo per esorcizzare le loro solitudini. Però avviene tutto in un clima di leggerezza e di ironia, come può avvenire in questo tipo di scrittura, che è feroce, sarcastica e cinica. Sviscera anche la meschinità umana. Abbiamo tutti piccole meschinità e questo è molto interessante”.

“E’ davvero il tentativo di far dialogare le loro solitudini?”

“Assolutamente sì. Anzi, certe volte ci sono come dei monologhi paralleli, nel senso che uno parla come se parlasse da solo e l’altro risponde come se parlasse da solo. E’ un dialogo, ma certe volte ci sono anche dei monologhi paralleli, come succede spesso nelle famiglie, in cui uno sa già che se fa un gesto, un movimento o un battito di ciglia, il dialogo diventa surreale”.

“Esiste una catarsi finale che lasci intravedere la possibilità di una vita più umana?”

“No, assolutamente no. E’ molto umana, nel senso che spesso anche la vita è così. Quindi lascia intravedere un tipo di umanità reale, anche se metaforica o simbolica in una scrittura teatrale. C’è un senso di solitudine e di avere bisogno comunque degli altri, anche se poi per loro è una seccatura. Però è quello che avviene nel contrasto del martedì e del giovedì”.

“Quanto questo testo è permeato di nostalgia e malinconia?”

“Qualche volta ci può essere perché c’è la vecchiaia. Ci sono dei temi che possono far pensare a questo. Però nel complesso poi non lo è, perché questo tipo di scrittura non è malinconica. E’ un tipo di drammaturgia più graffiante. In generale non è nostalgica, però ci possono essere dei momenti in cui lo è”.