ELENA ARVIGO “NON DOMANDARMI DI ME, MARTA MIA”

La storia d’amore tra Marta Abba e Luigi Pirandello rivive in teatro grazie al sensibile lavoro di Katia Ippaso, che ha ricostruito il carteggio tra i due durato dieci anni. Lo spettacolo si svolge in una data precisa: quella della morte dello scrittore siciliano, avvenuta il 10 dicembre 1936. Anche la collocazione geografica è ben delineata: la città di New York, per la precisione il Plymouth Theatre di Broadway, dove la Abba stava recitando. Rileggendo l’ultima lettera che Pirandello le aveva scritto solo sei giorni prima della malattia, in cui non faceva il minimo accenno alla sua scomparsa, Marta si trova a fare i conti con il proprio passato nella solitudine della sua camera d’albergo di fronte alla cattedrale di St. Patrick.

(immagini del canale Youtube “Campania Teatro Festival”)

Non domandarmi di me, Marta mia è in scena al Teatro Gerolamo di Milano e vede come unica protagonista Elena Arvigo, diretta da Arturo Armone Caruso.

Intervista ad Elena Arvigo

Che cosa emerge dalle lettere tra Luigi Pirandello e Marta Abba?

Un rapporto sicuramente molto profondo e speciale tra il Maestro e l’attrice. Marta Abba è donna, musa ispiratrice, interprete e anche un po’ allieva, come lo si è sempre dei grandi maestri. Prima di tutto, però, loro due sono un uomo e una donna. E’ una storia che va anche contestualizzata: Pirandello è un uomo siciliano dell’Ottocento, che incontra Marta Abba quando ormai è in là con gli anni, soprattutto per quel tempo e per il contesto culturale da cui proveniva. Ha 60 anni e a quell’epoca a quell’età si era già anziani. Marta Abba è invece una ragazza di 23-24 anni. Attraverso di lei, Pirandello sogna: è come se potesse avere ancora una speranza di vitalità.

Dalle lettere può emergere anche una parte divertente: leggendole con approccio ironico, si ha infatti l’impressione che lui sia un po’ uno stalker. E’ un uomo che impazzisce dietro di lei e che decide di farla diventare la sua ossessione. Pur essendo lui un genio, questo punto debole ci mette di fronte al limite dell’uomo: noi lo vediamo come un gigante che ha scritto cose straordinarie e vinto un Nobel, che però si dispera se lei non gli risponde. C’è quindi una parte un po’ patetica che lo rende molto umano ed è una bella caratteristica. Lei è una donna e un’attrice che ha una grandissima stima e riverenza nei confronti del Maestro cui darà sempre del lei.

Che tipo di approccio avete usato per portare queste lettere sulla scena e farle diventare uno spettacolo?

Quello delle prove teatrali: la prassi è stata quella degli incontri giornalieri durante i quali abbiamo piano piano messo in scena il testo scritto da Katia Ippaso, che parte immaginando una sera realmente esistita in cui Marta Abba era a New York nel momento in cui le arrivò la notizia della morte di Pirandello. L’autrice si immagina però ciò che è successo quella notte e che noi non sappiamo: la rievocazione da parte di Marta del rapporto con il Maestro, avvenuta mentre torna a casa dal teatro in cui recitava.

Per me è una relazione molto onirica, basata sulla commemorazione dei ricordi. E’ come se ogni lettera fosse una porta d’accesso al passato. E’ una notte di sogno in tutto e per tutto, in cui il confine tra presente e passato svanisce. Marta va avanti e indietro, rivive dei pezzi del proprio repertorio che aveva fatto con lui e con la compagnia. Lo saluta. Per me è stato un approccio evocativo.

Perché in qualche forma quello tra Luigi Pirandello e Marta Abba era un amore incomprensibile agli altri?

L’amore lo è sempre, è un mistero. Dal punto di vista razionale uno vorrebbe che ci fosse una simmetria premiata dalla società a livello di consenso, che il sentimento avesse luogo tra due persone della stessa età, per esempio. Il loro è invece un rapporto molto asimmetrico in cui è facile vedere un opportunismo da parte di Marta e un’ossessione da parte di Pirandello, e può anche essere che sia così. Ciò non toglie però che sia amore, perché l’amore non ha regole, per cui è anche giusto che rimanga incomprensibile agli altri: questo non scredita l’intensità del sentimento. Uno potrebbe dire che è una passione sbagliata, ma per chi lo è? La parola “amore” rimane ancora libera.

Quanto è diversa la Marta Abba che traspare dalle lettere rispetto a quella che vediamo nella sua camera di Manhattan?

La Marta Abba delle lettere cerca di rispondere a una richiesta enorme di attenzione. Invece quella della notte newyorchese è come se si svegliasse e realizzasse chi era veramente Pirandello. Infatti lei stessa, in un momento dello spettacolo, dice: “Io cercavo di far rientrare tutto in un paradigma di normalità, di far finta che lui non fosse Luigi Pirandello. Quindi parlavamo di aspetti quotidiani come i contratti e le tournée.”. Era molto concreta e le loro lettere sono piene di dettagli di tutti i giorni. Quella della camera d’albergo è una Marta dispiaciuta di non essere riuscita a capire che la fine dell’uomo da lei amato era vicina.

D’altronde se l’amore è un mistero, lo è anche il momento della morte e della separazione. Non possiamo trattare le persone come moriture solo perché hanno qualche anno in più. In questo senso loro due hanno avuto un rapporto molto paritario: lei non gli ha mai risparmiato la sua cattiveria. Credo che lui l’amasse tanto anche per questo, perché era molto diretta: aveva un bel caratterino, come si direbbe oggi!

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Maurizia Leonelli per la collaborazione
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