Nell’anno dei festeggiamenti per il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, va in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 6 febbraio 2022 Museo Pasolini. Il nuovo spettacolo del grande narratore Ascanio Celestini si concentra sulla figura del poeta con la consueta empatia. Con ironia e disincanto, Celestini continua a tessere le fila di un’epopea popolare, fatta di marginalità e impegno sociale. L’artista si interroga su un ipotetico, possibile, auspicabile “Museo Pier Paolo Pasolini”, un luogo immaginato attraverso le testimonianze di diversi personaggi.
Parla Ascanio Celestini
Chi sono le diverse figure che ci parlano del “Museo Pasolini”?
La prima è la guida ed è quella che racconta la storia. Accoglie i visitatori su una porta bianca, il principale elemento scenico, che durante lo spettacolo cambia colore, perché un sagomatore la illumina e la fa diventare blu o rossa a seconda dei momenti. Quando entra in teatro, lo spettatore vede due lampade appese, una sedia e alcuni oggetti geometrici illuminati a terra. A un certo punto, capiamo che la guida del museo ha conosciuto – o almeno pensa di aver conosciuto – Pier Paolo Pasolini.
Gli altri personaggi sono Pasolini stesso e il fratello, partigiano della brigata Osoppo Friuli, ucciso nel febbraio 1945 da partigiani della brigata Garibaldi Natisone. C’è poi un personaggio che il narratore chiama Alberto: è la personificazione della grande industria, di un’ipotetica multinazionale. Lo possiamo collocare a cavallo tra Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Pur essendo una figura realistica, raccoglie in sé gli elementi della cosiddetta “razza padrona”, per citare il libro scritto da Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani nel 1974.
Quali sono gli oggetti del museo?
Sono cinque e fanno parte della mostra. Uno è la prima poesia scritta da Pier Paolo Pasolini nel 1929, che noi non abbiamo. A parlarcene è però lui e lo fa soprattutto perché – a prescindere dalla qualità dello scritto – rappresenta il momento in cui il bambino Pier Paolo Pasolini pensa che la poesia non sia solo una cosa prodotta da altri, ma che possiamo fare anche noi. Siccome la madre ha scritto un componimento poetico per lui, Pasolini pensa di poter fare la stessa cosa. Il secondo oggetto è il cimitero di Casarsa della Delizia, il paese natale della madre in Friuli Venezia Giulia, dove lui è sepolto accanto alla mamma e in cui riposano anche il fratello, il padre, le zie, lo zio e la nonna. Questo piccolo cimitero è una sorta di album di famiglia.
Il terzo oggetto ci riporta al 1956, l’anno dell’invasione sovietica dell’Ungheria. Il narratore chiede a Pier Paolo Pasolini quando il Partito Comunista Italiano ha perso la propria innocenza e il poeta risponde che non l’ha persa, ma l’ha presa e messa via, come si fa con una bandiera in un cassetto. Il quarto è la borsa di similpelle nella quale venne messo l’ordigno che esplose il 12 dicembre 1969 nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Il quinto è il corpo maciullato di Pier Paolo Pasolini nella notte del 2 novembre 1975.
Quanto si avverte la presenza del contesto storico in cui è vissuto Pasolini? Mi riferisco soprattutto agli anni del fascismo.
Nel mio spettacolo io parlo soprattutto di questo. Racconto cioè cinquant’anni del Novecento attraverso Pier Paolo Pasolini. Faccio riferimento a una frase di Vincenzo Cerami che dice: “Se noi prendiamo tutte le opere di Pasolini dalla prima poesia all’ultimo film e le ordiniamo in ordine cronologico, otteniamo il disegno dell’Italia dal fascismo alla metà degli anni Settanta”. Io utilizzo Pasolini come punto d’osservazione e riferimento sul secolo scorso.
Questo spettacolo ha più l’obiettivo di omaggiare la figura di Pasolini o di conservare e tramandare la memoria storica delle sue opere e della sua eredità personale e artistica?
Questo è secondo me un compito che va lasciato alle istituzioni, alle comunità e alle università. Il teatro, la scrittura e il lavoro poetico non devono omaggiare qualcuno o qualcosa. L’artista fa un lavoro che rimane inevitabilmente aperto, in particolare in teatro, dove il lavoro dell’attore è quello di entrare fisicamente in un’opera d’arte.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Cristiana Ferrari per la collaborazione
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