“ISABEL GREEN”, UNA DONNA SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

E’ in scena alla Sala Bausch del Teatro Elfo Puccini di Milano Isabel Green, una produzione del Teatro Atir Ringhiera. Lo spettacolo, scritto da Emanuele Aldrovandi e diretto da Serena Sinigaglia, vede protagonista Maria Pilàr Pérez Aspa. E’ la storia di una grande star di Hollywood, che ha appena vinto il premio come “miglior attrice protagonista”. E’ sul palco del Dolby Theatre e tiene in mano l’ambita statuetta che sognava fin da quando era bambina. Dovrebbe essere al colmo della felicità, ma qualcosa non va. Mentre all’esterno cerca di dissimulare fingendo emozione ed imbarazzo, dentro di lei un turbine di pensieri la porta lontano, in una dimensione solitaria in cui le riflessioni sulla propria vita si mescolano al tentativo di far fronte alla situazione attuale, in un parossismo tragicomico che la porta a rompere ogni convenzione sui “discorsi d’accettazione” e a mettere in discussione i cardini della sua stessa esistenza.

Parla Maria Pilàr Pérez Aspa

“A che cosa è dovuto il disagio di Isabel?”

“E’ l’accumulo di una vita. Lei dice di passare un momento difficile da 25 anni. Arriva l’attimo tanto atteso e desiderato, quando dopo tante nomination andate a vuoto, finalmente le danno l’Oscar che ha desiderato per tutta la vita. E’ proprio la realizzazione di questo desiderio a far scattare una serie di meccanismi  che in realtà erano già dentro di lei per tutti i sacrifici che aveva fatto e per tutte le cose a cui si era sottoposta per poter avere quel premio. Nel momento in cui finalmente raccoglie quel frutto, si rende conto della crepa che ha dentro. Il testo che ha scritto Emanuele Aldrovandi si basa su un saggio molto bello proposto da Serena Sinigaglia, ‘La società della stanchezza’ di Byung-Chul Hanuno scrittore coreano. E’ un testo che parla del cosiddetto ‘soggetto di prestazione’, ovvero di quello che siamo diventati nella società contemporanea, dove non abbiamo più un padrone che ci dice a che ora finire, quindi non finiamo mai. Le nostre giornate di lavoro vanno avanti all’infinito perché siamo noi i padroni e gli sfruttatori di noi stessi. E’ un autosfruttamento”.

“E’ un discorso che non ci si aspetterebbe mai quello di Isabel, giusto?”

“I discorsi di ringraziamento agli Oscar durano 45 secondi, lo standard è questo. Invece lo spettacolo dura un’ora perché lei prima fa fatica a iniziare questo discorso, poi si sviluppa una situazione tragicamente comica, perché l’essere contemporaneo non è più tragico ma ridicolo. E’ ridicolo perché non sa andare avnti e non sa andarsene da lì e si trova in una situazione di disagio totale prodotta da questo momento tanto atteso ma che inaspettatamente non le porta quello che lei si aspettava. Lo spettacolo parla di questo e in mezzo capitano tante altre cose”.

“E’ giusto parlare di tilt epocale?”

“Sì, nel senso della nostra epoca sì. Insieme a Emanuele Aldrovandi e Serena Sinigaglia abbiamo cercato di non farla vedere solo come l’esperienza di un’attrice di un certo livello che va a prendere l’Oscar, ma di farla diventare come qualcosa che riguarda un po’ tutti. Poi uno arriva a quello che viene chiamato il burn out, che Han chiama l’infarto dell’anima, perché non soltanto il corpo ma anche l’anima cede”.

“Quanto è stato d’ispirazione per il testo il libro del filosofo coreano Han?”

“E’ stato il perno, il punto di partenza che ha fatto venire la voglia di fare questo spettacolo. Era molto difficile far nascere dal testo qualcosa di teatrale ed Emanuele Aldrovandi ha sviluppato l’idea di far fare a un’attrice questo percorso”.