Il gioco del mondo si fa con una pietruzza che si deve spingere con la punta del piede. Il gioco del mondo forse qualcuno lo conosce con il nome di campana ma è la stessa cosa. Gli ingredienti sono: un marciapiede, una piccola pietra, e un bel disegno con il gesso, fatto in terra sul cemento o l’asfalto, con le caselle bene in evidenza.
Il gioco del mondo è in scena al Teatro Litta di Milano fino al 9 ottobre. La drammaturgia è di Debora Virello, la regia di Antonio Syxty e Susanna Baccari. Ne sono protagonisti i ragazzi di MTM Grock – Scuola di Teatro: Gaia Barili, Nicholas De Alcubierre, Riccardo Festa, Stefania Giammarino, Francesco Giordano, Flavia Marchionni, Carlo Merico, Matilda Morosini, Giacomo Peia, Ludovica Tagariello, Cecilia Uberti Foppa e Giulia Villa.
A tu per tu con Susanna Baccari e i protagonisti
Che cos’è veramente il gioco del mondo?
Matilda Morosini: Il gioco del mondo è un viaggio che riguarda un gruppo di persone, che non può riguardare una singola persona all’interno della casualità, quindi di una ricerca di un’incertezza e del destino.
Susanna Baccari: Il gioco del mondo è una metafora, da noi lo chiamiamo la campana ed è con i dadi, si arriva dalla terra al cielo, quindi ci sono varie caselle e lanciando i dadi si può appartenere a una serie di situazioni umane della vita. In questo caso, dagli scritti di Cortazar abbiamo raccolto, insieme a Debora ma soprattutto insieme ai ragazzi, il percorso, il viaggio per raccontare una sorta di microsocietà. Chiaramente ci riferiamo agli anni in cui Cortazar l’ha scritto, quindi i 60-70. C’è una serie di tematiche che in qualche modo Antonio Syxty ha visto come vicini a quello che sono i ragazzi contemporanei. Ci sono come sempre tantissime analogie dal punto di vista umano. Quindi il gioco del mondo è proprio un viaggio che sfida il destino, dove si può passare da una casella a un’altra e così è.
Che cosa rappresenta il sassolino?
Carlo Merico: Il destino, il caso, quell’oggetto che si scaglia e non si sa dove andrà a finire e la casella in cui finirà sarà la casella da dover raggiungere.
Come si fa a non uscire dal tracciato, a partire dalla terra per arrivare fino al cielo?
Gaia Barili: Usciamo costantemente dal tracciato. Si continua a saltare da una cosa all’altra, da uno sgabello all’altro, sopra, sotto, facciamo continuamente dei cambi, perché è impossibile avere un’unica direzione. C’è sempre qualcosa grande come un sassolino che farà cambiar direzione e porterà a scoprire qualcos’altro in noi stessi o al di fuori. Quindi è possibile arrivare fino al cielo ma è impossibile arrivarci in un modo diretto.
Il viaggio dalla terra al cielo è una metafora simbolica di qualcosa?
Gaia Barili: E’ la metafora simbolica della vita, di quello che può succedere a ognuno di noi, a qualsiasi età, che può succedere a noi sul palco o alle persone del pubblico.
Susanna Baccari: Nel nostro caso il centro di tutto questo è – vista la loro giovane età – una sorta di passaggio da quella che può essere un’età innocente a una sorta di consapevolezza. Quindi lì in mezzo c’è un ciclo molto umano. Quello che viene poi concretamente fatto è il racconto di questi passaggi, di questa vita, di queste relazioni amorose. Quindi l’amore nel senso più grande possibile è al centro di tutto, come spinta vitale, come motore, come passionalità, come voglia di mangiarsi la vita.
Francesco Giordano: E’ anche la metafora del nostro lavoro, di come noi proviamo a fare questo spettacolo. Partiamo un po’ dalla terra, dal corpo, dalla nostra età, dalla nostra biografia per arrivare a un cielo inteso come atmosfera, come immaginazione. Cerchiamo cioè sempre di arrivare a qualcosa che è fatto di argilla, di corpo, di terra. Sperando però che qualcuno dall’altra parte ci veda un cielo inteso come tetto, una casa, un’atmosfera.
Susanna Baccari: Dagli scritti di Cortazar in qualche modo abbiamo ricreato questa comunità, questa microsocietà che si racconta, che vive a stretto contatto, dove lo spettatore può ritrovare tutti i suoi pezzi di vita, i frammenti e i brandelli.
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- Intervista video di Andrea Simone
- Foto in evidenza del sito di Manifatture Teatrali Milanesi
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione