ENRICO BALLARDINI, “POSSIAMO SALVARE IL MONDO PRIMA DI CENA”

In un suo romanzo-saggio Jonathan Safran Foer racconta con impatto emotivo straordinario la crisi climatica del nostro pianeta. Come? Alternando in modo originale storie di famiglia, ricordi personali, eventi biblici, dati scientifici e suggestioni futuristiche.

Il trailer di “Possiamo salvare il mondo prima di cena” (immagini del canale Youtube “Teatro Menotti”)

La versione teatrale di Possiamo salvare il mondo prima di cena è in cartellone al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano fino al 13 giugno. Scritta e diretta da Emilio Russo, vede protagonista sulla scena il Collettivo Menotti, formato da Enrico Ballardini, Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Helena Hellwig, Jacopo Sorbini e Chiara Tomei.

Intervista ad Enrico Ballardini

Cosa cambia nel portare sul palco la crisi climatica raccontata forse in modo completamente diverso sulle pagine del romanzo saggio di Jonathan Safran Foer?

Innanzitutto partiamo da un romanzo che già porta in sé un concetto fondamentale per interessare qualcuno riguardo a questa problematica, ovvero il rapporto emotivo con una serie di cose che vengono raccontate all’interno dello spettacolo e che svelano una serie di meccanismi umani e mentali che non ci permettono di agire come dovremmo. Evidentemente non sentiamo questo problema, se non attraverso un passaggio emotivo che viene già fatto: sia attraverso il romanzo sia attraverso quello che riusciamo fare a noi sul palco, come ci ha confermato il pubblico in occasione del debutto. Questa è la differenza.

Parliamo un po’ della scenografia di “Possiamo salvare il mondo prima di cena”: siamo un loft. Chi sono i suoi abitanti?

Sono dei ragazzi che stanno cominciando a farsi delle domande sul pianeta che abitano. Cercano in tutti i modi di darsi delle risposte e soprattutto scoprono che in realtà basterebbe molto poco per risolvere un problema. Forse con l’ingenuità della gioventù ma anche con il suo grande entusiasmo, direi che la cosa interessante è proprio come deciderebbero degli studenti di affrontare questo argomento interrogandosi. Farsi delle domande è già un passo molto, molto importante. Penso che il problema di questa società sia che ci si danno tantissime risposte e che si risolvono i problemi con un sacco di rimedi alla portata di tutti. Non ci poniamo più però la domanda se quello che stiamo facendo e il nostro modo di vivere siano corretti e sostenibili.

Com’è riuscito secondo te il regista Emilio Russo a trasformare una narrazione un po’ stanca in materia incandescente – cito testualmente – con cui fare i conti qui ed ora?

Credo che ci sia riuscito attraverso il dialogo con noi. La cosa meravigliosa di Emilio è che lui si mette in gioco esattamente come un ragazzo di trent’anni anche se non li ha più. Sente però questa cosa come estremamente necessaria. Quindi anche il rapporto con noi è diverso, perché non è stata una regia in cui lui ci diceva cosa fare e come dire le battute: è stato proprio un lavoro d’insieme di tutti quanti che comprendeva le nostre proposte anche musicali. Io propongo delle cose che lui accetta oppure me ne propone altre. La stessa cosa si può dire dei testi, delle cose che abbiamo deciso di tenere o di tagliare, anche se Emilio è ovviamente già arrivato con una proposta drammaturgica. Poi però si è lavorato insieme in questo senso e questo rende il percorso vivo e di conseguenza incandescente, ancora caldo ogni sera.

Enrico, ti chiedo infine di commentare queste parole: Vi porteremo nella casa in fiamme, che è poi la vostra. Vi diremo che non abbiamo troppo tempo da perdere. Vi racconteremo una storia che non è una buona storia. Una storia che non basta conoscere, ma a cui dobbiamo imparare a credere. Parla del destino di un pianeta che diventa troppo caldo per poter essere abitato, che è poi anche il destino della nostra specie. Questa storia, ascoltata fino in fondo, ci dice anche che ognuno di noi può agire, può cambiare le cose, invertire la rotta. Forse non lo faremo. Crederci è difficile.

Mi colpisce particolarmente l’ultima frase, nel senso che tutti siamo ormai a conoscenza di quello che sta succedendo e lo vediamo giorno per giorno. Stiamo uscendo adesso da una pandemia di un anno e mezzo anche se non ne siamo ancora completamente fuori. Una pandemia dovuta probabilmente anche al nostro modo di gestire i rapporti con gli altri esseri viventi che vivono con noi su questo pianeta che non è nostro. Vedo però che ci sono interessi su cui non si riesce a soprassedere come quelli economici.

Penso che adesso siamo di fronte a un bivio: o facciamo dei piccoli gesti – perché basterebbero dei piccoli gesti come la consapevolezza che anche un lievissimo cambiamento delle nostre abitudini può modificare l’andamento climatico – oppure non li facciamo. Credo però che chi ha a cuore anche semplicemente il pianeta per i propri figli o per se stesso ancora per qualche anno se ne dovrà interessare in modo serio. Tra poco arriverà l’impatto e lì sarà dura tornare indietro.

  • Foto di scena di Maria Luiza Fontana
  • Si ringrazia Linda Ansalone per la collaborazione