Camilla Barbarito, “Il fanciullino”

A Capodanno, in balera, con l’aiuto di un paio di bottiglie di spumante, Sandro, Marisa, Vincenzo e Irma, trecento anni in quattro, raccontano le storie che hanno segnato la loro esistenza, ma anche i loro progetti per il futuro, l’amore, il sesso e la felicità.

Il fanciullino, scritto e diretto da Renata Ciaravino, è in scena al Teatro Leonardo di Milano dal 31 marzo al 2 aprile, con Renato Avallone, Camilla Barbarito, Laura Pozone, Alessandro Sampaoli e con la partecipazione straordinaria di Martina Pontil e Osvaldo Tarelli.

Quattro domande a Camilla Barbarito

Che cosa emerge dai racconti dei personaggi?

Emerge una straordinaria vita, un’eccezionale presenza, una voglia di incontrarsi, di esserci, di provare sentimenti, di essere ancora in pista e di amare anche con i corpi. Abbiamo visto e testato con Renata Ciaravino questa vitalità che serpeggia quando ci ha portati nei luoghi da cui è partita, le balere e le sale da ballo. Tra una mazurka, una polka e un valzer, abbiamo incontrato queste persone che vanno avanti grazie al ballo, alla compagnia e al desiderio di andare ancora a caccia di un uomo e di una donna, magari senza viverci insieme, ma con cui giocare a una sottile seduzione. Questi luoghi sono veramente densi di vita e di storie che Renata ha saputo raccontare in un modo particolarmente ricco di sfumature.

Quanto entusiasmo si riscontra in questi personaggi?

A me sono entrati dentro. Irma, il mio personaggio, una signora pugliese, Marisa, un’amica del nord, Vincenzo e Sandro ci hanno dato la possibilità di fare i conti con storie vere ed estremamente toccanti. Grazie a Renata, però, che è una persona con una fortissima vena ironica, si piange e si ride. Spesso noi stessi siamo commossi e toccati dalle storie che raccontiamo nel faccia a faccia con il pubblico. Eravamo in scena a Campsirago e gli spettatori palpitavano per le emozioni forti. A volte ridevano avendo gli occhi lucidi, perché ci sono delle sfumature di ironia molto potenti nella scrittura di Renata. Le risate dunque non mancano.

Quindi quelle che portate in scena sono storie reali, di vita vissuta?

Assolutamente sì. Sono tutte storie prese dalla realtà. Sembra incredibile come la vita sa stupirci, ma a volte sono davvero aneddoti. Le prime repliche si sono svolte proprio nelle balere e lo spettacolo era quasi un dialogo, un battibecco con gli anziani che sono stati i nostri primi spettatori. Si riferivano a noi come se fossimo veramente i personaggi, per cui si sprecavano gli interventi a scena aperta, perché queste persone si riconoscevano e si sentivano di intervenire. Noi facevamo quindi uno spettacolo in cui quasi ogni battuta veniva intervallata da commenti e incitazioni. E’ stato speciale.

L’autrice ha scritto che le persone che ha intervistato facevano le acrobazie con i doppi sensi. Che cosa significa?

Sono il “sale” e la malizia che serpeggiano: il segno forte di una vita che pulsa. Credo che la forza di questo testo sia quella di sconfiggere un pregiudizio: il tabù della sessualità degli anziani, un aspetto che si tende a rimuovere e con cui la società non vuole fare i conti, perché si considera la sessualità delle persone anziane un capitolo archiviato, ma non è così. Ognuno di loro ha una sfumatura diversa, però quando si va in questi luoghi, ci si rende conto della presenza di un eros forte, che credo sia anche un antidoto.

  • Intervista video di Andrea Simone
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  • Si ringrazia Alessandra Paoli