Debutta venerdì 20 ottobre al Teatro della Cooperativa di Milano dove rimarrà in scena fino a domenica 22 Giorgio Strehler e io, uno spettacolo scritto e diretto da Claudio Beccari con Gian Carlo Dettori. Per quarant’anni Gian Carlo Dettori ha lavorato al Piccolo Teatro di Milano prendendo parte a spettacoli che hanno segnato la cultura italiana del Novecento.
Oggi a vent’anni dalla scomparsa del grande regista, Dettori ne ripercorre il cammino testimoniando le tappe di un percorso strettamente intrecciato con la storia del nostro Paese, come l’opera di rinnovamento del nostro teatro che si rese necessaria nel dopoguerra, con la scelta di testi e autori completamente nuovi e con il radicale cambiamento richiesto agli attori, convinti a fatica a imparare la parte a memoria rinunciando al suggeritore, e l’idea fondante del Piccolo Teatro, concepito non come luogo di svago ma come punto d’incontro di un’intera comunità, come luogo di riflessione e e di discussione, e di conseguenza la convinzione che il teatrante avesse una responsabilità “sociale” nei confronti dell’opinione pubblica.
La parola all’autore e regista Claudio Beccari
“Quale fu l’opera di rinnovamento teatrale che si rese necessaria nel dopoguerra?”
L’opera di rinnovammento di cui Strehler è stato uno dei maggiori artefici è stata profonda. Bisogna pensare che, anche se per gli spettatori di oggi può sembrare quasi incredibile, fino ai primi Anni Cinquanta gli attori non si piegavano alla richiesta di imparare la parte a memoria. Abituati com’erano a lavorare con il suggeritore, Strehler racconta, nei suoi ricordi e in alcune lettere, dell’enorme fatica che faceva a convincere gli attori di questo. Paradossalmente fu la televisione a dargli una mano in questa direzione, perché ovviamente lì il suggeritore non ci poteva essere. Lui disse: “Se per la televisione ce la fanno, devono farcela anche per me”. E questa è una spia di come tutto il teatro italiano nel dopoguerra fosse ancorato a un’impostazione davvero arretrata rispetto a oggi. Quindi possiamo capire quanto sia stata profonda e radicale l’opera di Strehler che mirava a formare un attore consapevole del lavoro che faceva e del suo ruolo nel palcoscenico e nella società.
“Quali erano le amarezze negli ultimi anni per Giorgio Strehler?”
Per Giorgio Strehler le amarezze, almeno quelle che ci racconta Dettori che ne è stato testimone diretto, erano quelle di rendersi conto che la politica e probabilmente anche una parte della classe dirigente cominciavano a concepire il teatro in un modo diverso. Si rendeva conto che la sua idea di un teatro pubblico, davvero inserito nella collettività, che rendesse un servizio socialmente importante, stava ormai perdendo posizioni, perché la cultura nel complesso cominciava davvero a perdere colpi. E c’era chi diceva che se con la cultura non si mangia, se ne poteva fare a meno.
“Qual era il metodo di lavoro di Strehler?”
Anche se può sembrare strano a chi non ha mai parlato con i suoi attori e non ha mai visto il meccanismo da vicino, si può pensare che vedendo spettacoli così perfettamente oliati e meccanismi così precisi e corenti, Strehler chiedesse all’attore di inserirsi disciplinatamente in un meccanismo precostituito. Ma così non è, perché Strehler chiedeva all’attore di essere quasi co-autore dello spettacolo, nel senso che lo metteva in condizione di scatenare la creatività perché gli dava suggestioni e suggerimenti. Lo metteva in condizione di essere serenamente e tranquillamente libero di esprimersi, ma poi dall’attore pretendeva personalità, creatività e inventiva perché sapeva che sarebbe stato questo ad arricchire il suo spettacolo e a farlo sentire davvero vivo, vitale e affascinante per il pubblico.
“Ci puoi parlare di almeno un aneddoto divertente che Dettori visse con Strehler?”
Il suo primo incontro, quando Dettori doveva presentarsi a un provino dopo essersi diplomato all’accademia. Dettori si presenta all’audizione, aspetta un’ora-un’ora e mezza, Strehler non arriva. Finalmente arriva, Strehler gli chiede che pezzo ha portato e lui dice che farà un certo pezzo. Sale sul palcoscenico e dopo tre parole, Strehler lo interrompe, lo fa andare giù dal palcoscenico, gli fa suggerire la parte e la recita tutta lui. Alla fine se ne va, Dettori prova a chiederli spiegazioni e Strehler gli risponde: “Ti prendo, ho visto che sei un attore dal modo in cui sei entrato in palcoscenico”.