“BEDDA MAKI”: PARLA IL REGISTA ROBERTO MARAFANTE

Debutta giovedì 23 febbraio al Teatro Martinitt di Milano, dove rimarrà in scena fino a domenica 12 marzo, lo spettacolo vincitore del concorso Una commedia in cerca di autori. Si tratta di Bedda Maki, una commedia di Marco Di Stefano e Chiara Boscaro diretta da Roberto Marafante. Ne sono protagonisti  Roberta Azzarone, Caterina Gramaglia, Franco Mirabella, Lorenzo Parrotto e Arturo Scognamiglio.

L’eterno conflitto tra Nord e Sud

La Tonnara di Toni, ristorante siculo con la sua bella clientela in un quartiere operaio di Milano, entra in crisi. Si trova infatti a essere vittima della riconversione degli stabilimenti e dello street food, ora tanto di moda. Toni ha investito tutti i suoi risparmi nell’istruzione del figlio Calogero, che si può permettere di correre dietro ai propri sogni di aspirante artista, incurante di tutto. Toni non ha di che compensare le perdite e rischia di dover chiudere per sempre il suo amato ristorante.

Intervista a Roberto Marafante

Teatro.Online ha intervistato Roberto Marafante, regista dello spettacolo.

“E’ interessante che questa commedia prenda spunto da un fatto autobiografico. Cos’è successo nella realtà?”

“Il concetto parte dalla storia personale degli autori, che hanno origini siciliane e hanno incontrato davvero i personaggi. Li hanno però inseriti in un contesto che parla anche di altro, della vita di oggi, dei rapporti tra le generazioni e dell’economia: di come uno si deve rinnovare cercando di capire dove va il mondo e dove vanno le possibilità di sviluppo di una cosa”.

“Si affrontano diverse problematiche contemporanee, giusto?”

“Sì. Il rapporto è fra il figlio e il padre di origini siciliane che vive a Milano da tutta la vita. Però è rimasto legato con il cuore alla sua isola. Toni  fa una ristorazione tipicamente siciliana. Però, essendo il suo ristorante una specie di bettola, non attira più quel tipo di clientela che adesso sceglie il  giapponese, il fusion e tutti i vari piatti esotici. Ad aiutarlo sarà proprio il figlio. Il ragazzo, rifiutando a sua volta le sue origine, finge di essere della Milano bene e di andare alll’università privata. Si dà un nome e si inventa un passato diverso dal suo, in cui il padre è un designer che vive a Los Angeles. Racconta tutto questo alla sua ragazza che poi scopre la verità.

Però questo ragazzo, che ha un rifiuto per gli arancini e per le melanzane fritte, aiuta il padre a fare una virata rispetto ai problemi economici che rileva. Si inventa l’idea del fusion, che non è un fusion dal punto di vista gastronomico, è un finto fusion. Il padre continuerà a fare manicaretti siciliani, ma gli verrà dato il nome giapponese. Sushimi di tonno invece che tonno di Trapani”.

“E’ un caso che oggi vadano così di moda i reality show sul cibo?”

“Io lo considero un mistero. Non so quale sia quest’elemento che trascina la logica e non capisco il fascino che  il mondo della cucina e dei cuochi esercitano sul pubblico, però è un dato di fatto. Bisognerebbe chiedere il parere di un sociologo. Se devo essere sincero, non ho mai sentito un’analisi di questa problematica così diffusa in tutto il mondo occidentale. La cosa interessante è che in questa logica di commedia c’è una strana dimensione di successo. Arriverà infatti un food blogger cattivissimo che scoprirà che non è un vero fusion, ma solamente un gioco. Però li perdonerà perché scoprirà che Toni cucina bene. Quindi ne decreterà un nuovo successo in questa nuova versione”.

“E’ importante l’aspetto di incontro-scontro che c’è in questo spettacolo fra generazioni e culture?”

“Sì, perché la cosa diversa di questo spettacolo rispetto ad altre commedie è che si parla di cose molto divertenti. Però il rapporto fra le due generazioni è fondamentale, perché c’è una problematica complessa: c’è l’idea che le persone anziane siano un po’ inutili e rappresentino un freno per i giovani, che a loro volta non hanno spazio nella realtà. C’è una specie di contraddizione di fondo. Per cui si preferisce il giovane alla persona matura, però il giovane a sua volta non trova lavoro. Quindi quasi senza motivo si scontrano due generazioni.

Si fa una guerra tra giovani e anziani, ma non come ai vecchi tempi quando c’era una battaglia con la vecchia generazione ma si dovevano imporre nuovi modelli. Qui c’è una specie di lotta per la sopravvivenza. Questa commedia dà un segnale: nel momento in cui il figlio e il padre mettono insieme le forze, uno l’esperienza e l’altro la conoscenza del mondo, collaborano e trovano una soluzione positiva che va bene a tutti e due. Mi sembra che questo sia un messaggio molto interessante per la nostra società. Una generazione non esclude l’altra. Questo è allla base di qualsiasi cultura che si rispetti”.