Esistono errori imperdonabili? Può il perdono diventare impraticabile oltre una certa misura? E qual è questa misura? KAMIKAZE NELLA BASSA. Quando il perdono vince con la forza si interroga sul concetto di grazia lì dove non è ammissibile e lo fa attraverso due storie: Fratello luna e Sorella sole e Director’s cut, in scena al salone di Pacta dei Teatri dal 28 al 31 ottobre. Scritto da Francesco D’Amore e diretto da Patrizio Belloli, lo spettacolo vede protagonisti Alice Conti, Marzia Gallo, Francesco Meola e Fabio Zulli.
Intervista a Patrizio Belloli
Le due storie nel vostro spettacolo sono diversissime fra loro ma hanno in comune l’elemento del perdono. Di cosa parlano?
Hanno in comune l’elemento del perdono e l’ambientazione, la Bassa Bergamasca. La prima storia, Fratello luna e Sorella sole, parla di un paese in cui tutti gli abitanti si adoperano fino all’impensabile, addirittura al machiavellico, pur di permettere a un fratello e a una sorella che non si parlano da tanti anni di tornare a comunicare tra di loro.
La seconda storia, Director’s cut, afferisce al tema del giornalismo, in particolare della legittimità di andare oltre il cosiddetto politically uncorrect. Siamo di fronte alla situazione di un* ragazz* che compie un gesto estremo. Nel compierlo, però, decide di lasciare una lettera d’addio in cui afferma di non poter accettare di vivere in un mondo in cui vengono dette alcune parole come quelle del direttore di un giornale, L’urlo. La lettera d’addio trapela attraverso i canali social e arriva alle orecchie del direttore de L’urlo, che nello scritto viene citato con nome e cognome. A questo punto il direttore decide di andare nella Bassa Bergamasca e incontrare la madre di Ky (questo è il nome del* ragazz* che ha deciso di compiere il gesto estremo).
In questo caso tutti i personaggi continuano a darsi la colpa dell’accaduto, al punto tale che non si capisce più di chi sia la responsabilità. Quello che noi in effetti andiamo a sondare con questo lavoro è fino a dove può arrivare la forza del perdono, qual è la misura che noi possiamo raggiungere nel perdonare. Credo che sia questo il tema forte dello spettacolo. Vediamo poi fino a che punto si spinge la solidarietà, dove finisce il “farsi i fatti degli altri”, e dove invece inizia l’occuparsene.
Oltre alla rabbia e al rancore ci sono altri sentimenti che rendono difficile il perdono?
Ci sono tanti colori, nel senso che credo che il perdono sia giallo, la rabbia rossa e che il rosa rappresenti la possibilità di arrivare a portare una forma d’amore incondizionato, che prima di entrare nella rabbia, riesce a scardinare tutti gli aspetti “neri” che abbiamo dentro. Penso che in questo caso, rispetto al perdono, ci siano anche il tema dell’orgoglio e una sorta di sfiducia: è come se noi non vedessimo più la totalità delle infinite possibilità che abbiamo, ma rimanessimo focalizzati su un unicum. Questo ci impedisce a mio avviso di credere nella nostra capacità di perdono, che in realtà e un “iperdono”, un donare incredibile. E’ un aspetto un po’ cattolico che però mi piace: il perdono è un dono anche a se stessi. E’ una liberazione di stanze che pensavamo chiuse da tempo.
C’è un intento da parte vostra a farci rimettere in discussione e a renderci più inclini al perdono?
Penso di sì, perché lo spettacolo ha la pretesa e il desiderio di non essere uno spettacolo, ma un po’ di più o un po’ di meno o una cosa diversa. E’ un aspetto che per me, durante le prove, è stato catartico. Inoltre vuole attivare un processo al limite dello “psicomagico”, perché desidera realizzare quello che gli abitanti del paese in scena immaginano di creare: un piano che porti alla realizzazione del perdono. E’ un’azione che porterà a una blanda interazione con il pubblico. Questo piano non vuole essere recluso nelle pareti pur meravigliose di questo teatro, ma vuole uscirne fuori.
Trovo molto originale il titolo, “Kamikaze nella bassa”. Come vi è venuto in mente?
Da un punto di vista consapevole non so quando l’ho “partorito”. Diciamo però che la lettera “K” è anche l’iniziale del nome del* ragazz* che “si fa esplodere” per una causa più grande. Questo è il tema del dare la vita, che va addirittura quasi oltre quello del perdono. Credo che sia un “perdere la vita per dare la vita”. Kamikaze, Ky, si fa esplodere. Non è però un’esplosione che porta a una distruzione ma a una trasformazione. Questo accade all’interno di un luogo, quello delle mie radici, la Bassa Bergamasca.
In realtà credo che ci siano tante Basse, non esiste solo la Bassa Bergamasca. Quei territori sono un misto di periferie, province e di una sorta di depressione rispetto alle alture. Agli attori e a me piacerebbe molto portare in quelle zone questo lavoro. Stiamo organizzandoci per fissare delle date a partire dalla Bassa Bergamasca. Tra l’altro, gli abitanti del paese citato hanno anche collaborato e dato un grande contributo per alcuni elementi di questo spettacolo.
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- Intervista video di Andrea Simone
- Foto in evidenza del sito di Pacta dei Teatri
- Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione