Dopo il successo del 2021, torna al Teatro Out Off di Milano un grande classico del teatro italiano, una commedia scritta da Dario Fo e Franca Rame, che in questa versione vede protagonista Monica Bonomi: Tutta casa, letto e chiesa è in scena fino al 27 novembre con la regia di Lorenzo Loris.
Tre donne esilaranti, diverse e toccanti, raccontano la propria quotidianità troppo spesso costellata da violenze e soprusi. Un testo del 1977 che ha fatto la storia del teatro, ma capace di parlare e illuminare generazioni di donne e uomini. Un’opera storica che continua a mantenere intatta la propria portata sociale e la propria forza comica.
Quattro domande a Monica Bonomi
In che cosa sono esilaranti e diverse le tre donne presentate nei tre monologhi distinti dello spettacolo?
Sono tre storie completamente opposte l’una all’altra. Le prime due sono esilaranti perché sono contestualizzate in un ambiente teoricamente normale di una vita semiborghese, però le loro reazioni e le loro esperienze esulano dalla normalità. La prima è una casalinga che fa una vita normale, ma poi si scopre che è imprigionata dal marito e quindi preda di una forma di follia durante la quale parla con una signora dirimpettaia. Si convince così di ribellarsi a questa situazione, assurda e drammatica nella condizione esistenziale che troppo spesso accade. La seconda protagonista ha un rapporto con la maternità vissuto in una maniera abbastanza sorprendente che esce dai binari. Desta quindi ilarità e comicità per questo motivo. Anche in quel caso ci sono però delle impalcature di dramma. Direi invece che la terza non è comica: è Medea in chiave popolare con un dialetto che rappresenta la sintesi di varie etimologie. E’ un miscuglio di voci e questa è la sua particolarità.
Perché questo è un testo capace di parlare e illuminare generazioni di donne e uomini?
Perché a mio avviso questa situazione non è mai finita: c’è sempre una distanza tra il mondo femminile e quello maschile. Ognuno dei due ha infatti esigenze diverse. E’ chiaro che in certi punti, soprattutto il primo monologo risente di un tempo per certi versi passato, perché oggi è molto difficile pensare che una donna faccia solo la casalinga, anche se ce ne sono tante. La modernità sta nel fatto che la casalinga è percepita oggi in maniera diversa rispetto ad allora, perché a quei tempi sembrava una storia quasi surreale. Uno poteva immaginare che fosse una donna di un paesino sperduto del Meridione a vivere una situazione simile, ma ai giorni nostri, con tutte queste notizie che all’epoca non saltavano fuori, come i femminicidi e i maltrattamenti, alcune sfumature che allora risuonavano molto comiche, oggi possono far sorridere, ma rimandano alle tragiche notizie che conosciamo e con cui ci bombardano i mass media.
In questo spettacolo avete voluto fare un omaggio alle donne iraniane vittime di soprusi. In che modo?
Le donne vittime di abusi in Iran o in qualsiasi altra parte del mondo purtroppo ci sono sempre. E’ quindi uno spettacolo sicuramente dedicato a questa situazione difficile vissuta sempre e comunque dalle donne. Chiaramente, in Iran c’adesso un faro puntato in modo molto intenso perché stanno accadendo cose devastanti. Il pensiero verso quel Paese è quindi automatico. E’ però uno spettacolo che fa riflettere su quanto ancora c’è da lavorare perché le donne abbiano un giusto spazio e una giusta attenzione. Diciamo che rispetto a una volta, forse gli uomini sono diventati molto più sensibili e vicini a queste tematiche, quando invece, negli anni Settanta erano magari più distanti.
Questo è uno spettacolo ampiamente rodato e che nel 2021 ha avuto un grande successo. Quanto è cambiato, si è evoluto o è maturato nel corso di questi ultimi 14 mesi?
Forse questo spettacolo è anche figlio di questa pandemia e di questo entusiasmo di ritrovare di nuovo anche il pubblico, senza mascherine né distanziamenti. Quindi si nutre sicuramente anche di questa novità e di questo ritorno a un entusiasmo nuovo rispetto a prima.
- Intervista di Andrea Simone
- Foto in evidenza di Stefano Sgarella
- Si ringrazia Martina Bruno
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