Un impeccabile bancario che vive in un monolocale in affitto, con un matrimonio in crisi, cade in depressione per l’insoddisfazione causata da una vita piatta, monotona e senza amicizie. Finisce quindi col farsi prendere dal complesso dell’ “erba del vicino”, quello cioè che lo porta a desiderare in modo malato quello che non ha, in un’escalation che sfocia prima in un’invidia perversa e poi in uno stato d’animo criminale.
Carlo Buccirosso è protagonista dello spettacolo L’erba del vicino è sempre più verde, da lui scritto e diretto, in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 14 maggio. Fanno parte del cast anche Fabrizio Miano, Donatella De Felice, Peppe Miale, Elvira Zingone, Maria Bolignano e Fiorella Zullo.
La parola a Carlo Buccirosso
Carlo, quali sono gli aspetti caratteriali del suo personaggio?
In una frase dice di essere un comune mortale con una marea di insicurezze, quindi non è quello che appare. Queste incertezze gli derivano sicuramente anche dalla mancanza di stimoli che caratterizza la sua vita, il suo lavoro, e le sue amicizie. Dunque cerca qualcos’altro, che gli capita nel vicino di casa. Da lì a chiamare la commedia L’erba del vicino è sempre più verde, il passo è breve.
Siamo in un’epoca in cui i social stanno secondo me causando un gravissimo danno alla famiglia e all’equilibrio delle persone. Si continua a guardare la vita degli altri preoccupandosi meno della propria. E’ un po’ quello che capita al nostro protagonista, anche se lui si dichiara anti social e non sa nemmeno cosa significa la parola influencer. Io ritengo però che queste siano le conseguenze catastrofiche di tutti quelli che guardano le vite altrui. Trascurano la propria e quindi perdono gli stimoli, a volte anche gli affetti, la voglia di rimboccarsi le maniche e di fare cose migliori nella loro vita.
Sono insicurezze che lo portano in un vicolo cieco?
Sì, come spesso capita con le incertezze. In questo vicolo cieco lui ritrova però un’amicizia con una persona di cui si infatua dal punto di vista dell’immagine. In lui vede la libertà e cose che non fa più. Dato che aspirava a diventare direttore, il suo mestiere di bancario gli sta stretto. Rinnega quindi un po’ tutto quello che ha fatto, a cominciare dalla moglie. Poi l’amico gli presenta un’influencer di cui lui ovviamente si invaghisce e la sua crisi matrimoniale diventa ancora più grossa e difficile da superare. E’ qui che entra nel vicolo cieco che nasconde una marea di insidie.
In che cosa la commedia thriller può essere più d’impatto sul pubblico rispetto a quella tout court, che fa solo ridere senza suspense?
Io sono sorpreso ma felicissimo, perché questo dimostra che la sceneggiatura parte da una struttura molto solida. La realtà è che, quando si scrive uno spettacolo di due ore e dieci minuti più l’intervallo, l’attenzione della gente si abbassa molto. Il pubblico è meno disposto a seguire uno spettacolo teatrale, tant’è vero che alcuni colleghi stanno provando a fare spettacoli di un atto unico di un’ora e mezza. Io invece sono favorevole a un intervallo, a far pensare la gente tra il primo e il secondo atto e al cambio scena, se necessario. Vedo che nel mio spettacolo il livello di attenzione è sempre molto alto. Ecco così che il connubio tra giallo, noir e comico funziona, proprio perché laddove la storia non tiene attanagliati gli spettatori, arrivano la battuta divertente e la scena comica. C’è sempre qualcosa da scoprire e non ci si annoia.
Passiamo alle note più tecniche: lei è un attore presente in scena qui anche come regista; recitando con i suoi compagni di palco in modo sinergico c’è più affiatamento rispetto a quando li si dirige soltanto da dietro le quinte?
Sicuramente. Io ho il brutto vizio, la pignoleria e da una parte anche il pregio, di dirigere qualche volta pure in scena. Ci sono un tale affiatamento e una tale intesa che bastano un segno dell’occhio e un’espressione per far capire che andiamo avanti senza dire una battuta. Quella successiva diventa infatti superflua perché arriva un applauso. E’ quasi una legge. Inoltre io faccio una lettura del copione di due settimane. Bisogna capire cosa andiamo a dire, a fare, chi siamo e che rapporti abbiamo. In una commedia come questa, dove ogni parola è pesata è può portare un tassello in più per il pubblico per capire cosa sta succedendo, bisogna dire bene le battute. Quindi non rimprovero mai nessuno, ma con un cenno faccio capire se andare avanti o stringere i tempi, perché alcuni spettatori non vogliono ridere ma ascoltare solamente.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Manola Sansalone
- Foto: Gilda Valenza
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