Luci (e ombre) della ribalta è uno spettacolo folle, composto da brevi scene che giocano sul meta-teatro, sul paradosso e l’assurdo. In un ritmo vorticoso, tanti personaggi portano in scena le fragilità, le stranezze e le bizze di loro stessi, mettendo in discussione il mondo del teatro. Ridere è inevitabile. Tra citazioni di film e assurdi dialoghi, lo spettacolo ci porterà dietro alla quarta parete, la distruggerà e farà in modo che ogni sera lo spettacolo sia unico e irripetibile.
Vincitore del Premio NEXT – Laboratorio di idee per la produzione e distribuzione dello spettacolo dal vivo lombardo 2020, con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo, Luci (e ombre) della ribalta è in scena al Teatro Martinitt di Milano fino al 28 novembre. Scritto da Jean-Paul Alègre e diretto da Leonardo Buttaroni, lo spettacolo vede protagoniste le Cattive compagnie, ovvero Giovanni De Anna, Ermenegildo Marciante, Emiliano Morana e Gioele Rotini.
La parola a Leonardo Buttaroni
Siamo di fronte a uno spettacolo dissacrante nei confronti del teatro?
Sì, soprattutto a qualcosa che accentua in modo parodistico e assurdo i difetti di attori, registi e persone che lavorano in questo mondo. Lo è anche di fronte a ciò che si fa per arrivare al successo. Sono cinque quadri che raccontano degli spaccati nascosti della vita teatrale.
Quanto prendono in giro loro stessi i personaggi dello spettacolo?
Sicuramente ognuno – o anche solo qualcuno – di loro si identificherà, perché le caratteristiche appartengono sia agli attori che ai registi che vengono presi in giro, compreso teoricamente il sottoscritto. Noi andiamo a metterle in evidenza.
Quali sono i film che vengono citati?
Preferirei non rivelare troppe cose di questo aspetto, però ti posso dire che alcune scene riconducono a personaggi già visti al cinema, non tanto per quello che dicono o fanno, quanto per il loro essere. A un certo punto c’è un suicidio in diretta: dato che per il successo si fa qualsiasi cosa e la trasmissione dove avviene il gesto estremo sta fallendo, si decide di inscenare un suicidio per alzare gli ascolti. Il personaggio che si toglie la vita può ricordarne uno che anni fa spopolava, anche perché il film era tutto incentrato su di lui.
Che cosa s’intende esattamente per quarta parete e perché la volete distruggere?
Significa immaginare il teatro come un involucro. Teoricamente, se lo spazio che divide pubblico e attori fosse una casa, dovrebbe esserci un muro. Dal punto di vista tecnico, l’attore si trova all’interno di un’abitazione, dove in teoria non c’è il pubblico. In alcuni momenti penso che sia il caso di distruggere questa parete e di permettere agli spettatori di partecipare dal vivo.
Lo faccio spesso, perché leggendo e confrontandomi con altri registi anche più grandi di me a cui bisogna prestare ascolto, mi sono reso conto che oggi la televisione rende meglio l’idea della quarta parete rispetto al teatro, che però ha un grandissimo vantaggio: il rapporto diretto con il pubblico, lo scambio che fa nascere un’emozione che la televisione non può dare. Bisogna avvicinarsi alle persone perché questo scambio cresca. Nel nostro spettacolo ci sono alcune scene in cui questo accade. Entriamo quindi in contatto diretto con la platea, cosa che il cinema non potrà mai fare.
C’è quindi un’interazione anche tra attori e pubblico?
Sì, ed è legata ad alcune situazioni: prendendo in giro gli attori e scherzando con loro, si arriva a fare la stessa cosa con gli spettatori in modo parodistico.
Lo spettacolo cambia un po’ ogni sera o rimane sempre lo stesso?
Su alcune cose sono molto rigido. In alcuni punti di contatto diretto con il pubblico in cui non si sa cosa risponderà la platea, sta alla bravura degli attori capire cosa prendere, cosa no, vedere se si possono spingere oltre un certo punto e aspettare. Ci sono delle scene in grammelot, una lingua totalmente inventata che si modella ogni sera a sensazione dell’attore. Sono ricordi molto difficili, anche perché c’è un traduttore che deve tradurre quello che dice una persona che non dice niente.
- Intervista video di Andrea Simone
- Foto di Manuela Giusto
- Si ringrazia Federica Zanini per la collaborazione
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