Il regista di Conversazione con la morte di Giovanni Testori Mino Manni ha divorato il romanzo quasi fisicamente e le parole del testo hanno cominciato a vibrare dentro di lui, a fargli compagnia, a risuonare in modo struggente con una vita prorompente e purificatrice, sebbene quelle parole fossero portatrici di morte. Da qui, inconsciamente, ha cominciato a sentire un legame profondo con Giovanni Testori e ha riletto la sua raccolta di poesie Nel tuo sangue. Ha cominciato a sviluppare idee, suggestioni, riflessioni, fino ad immaginare uno spazio, un luogo dove mettere in scena quelle parole.
Conversazione con la morte di Giovanni Testori è in scena alla sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano dal 14 al 24 giugno con la regia di Mino Manni. Ne è unico protagonista Gateano Callegaro,
Intervista a Gaetano Callegaro
Che storia racconta “Conversazione con la morte”?
Più che una storia racconta una grande riflessione sulla morte di un attore che fa l’ultima replica prima di chiudere la sua carriera. Non riesce più a fare lo spettacolo che doveva fare. Chiede scusa e comincia a fare una riflessione col pubblico sulla morte, quindi ricorda degli avvenimenti di quando era piccolo, di quando ha avuto il primo amore e la morte della madre. Sono tre momenti che il regista ha estrapolato da tutto il poema, che è molto più lungo, per dare un’idea molto forte di come ci può essere un rimpianto alla fine della propria vita, perché ovviamente, dedicandosi all’arte, lui si chiede perché ha perso l’amore per il teatro.
C’è una frase bellissima che dice “i luoghi del teatro vincono e distruggono i luoghi della vita”. Questa riflessione arriva poi a quando lui, durante una replica, è stato avvertito che sua madre stava morendo, quindi corre a casa da lei e la vede spirare. In quel momento la sua riflessione sull’aldilà diventa per lui un momento molto struggente, però non drammatico, anche perché Testori ha scritto questo testo dopo la sua conversione. Quindi la morte non è più un atto terribile e tragico ma diventa quasi un passaggio dal momento della vita a un altro. Benché il titolo Conversazione con la morte non sia molto da appeal, il pubblico non esce con l’angoscia. Anzi, esce magari più rassicurato rispetto a quello che può avvenire in quel passaggio fatale. Questa è un po’ la storia. E’ una riflessione sul rapporto che noi abbiamo con la morte.
In che modo il protagonista divora se stesso?
Il problema è che l’attore dice di aver passato la vita a essere superbo, infallibile e glorioso, passando da personaggi a personaggi, quindi il teatro lo ha divorato e anche digerito. Dunque, quando si trova di fronte a questo passaggio e sente che la morte lo sta chiamando, si trova ad avere a che fare con un personaggio che muore e che non incarna più. In questo caso il teatro lo ha divorato e anche nell’incontro con la madre si trova ad avere una speranza che dall’altre parte sia tutto molto più sublime, dolce e meno traumatico, come invece ha vissuto i suoi ultimi momenti.
Perché vive una solitudine disperata?
Perché un attore deve avere l’ossessione e la passione per riuscire a ottenere determinati risultati. Ci sono degli aneddoti banali, come quello dell’attrice famosa che all’intervallo di uno spettacolo viene a sapere che suo figlio ha avuto un incidente ed è morto. Lei non prende e se ne va subito ma fa il secondo tempo e poi se ne va. Che cos’è questo? E’ non amore per il figlio? E’ qualcosa di misterioso. L’arte performativa e il teatro sono due cose che possono divorare, se non si sta attenti, sia se si ha successo sia se non lo si ha. Il teatro è qualcosa di unico, per cui c’è il problema di dover continuare a non poter finire mai.
Perché in “Conversazione con la morte” c’è la fatica di dire e la fatica di non dire?
Ci sono delle parole che noi abbiamo paura di dire. “Morte” è una di quelle. Si dice che una persona “è mancata” o “se n’è andata”. “E’ morto” è una parola tragica, ma ce ne sono altre come “tumore” e “cancro” che si ha paura a usare. Meglio dire “neoplasia”. “Cancro” e “tumore” sono due parole che danno subito l’idea dell’ineluttabilità. Però in questa conversazione con la morte ci sono anche la volontà e la dolcezza del dire “morte”. Tant’è vero che nell’ultimo pezzo dello spettacolo, lui ripeterà molte volte la parola “morte” e la farà ripetere anche al pubblico.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli
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