Il Cantico dei Cantici è uno dei testi più antichi in tutte le letterature. Pervaso di dolcezza e accudimento, di profumi e immaginazioni, è uno dei più importanti, forse uno dei più misteriosi: un inno alla bellezza, insieme timida e reclamante, un bolero tra ascolto e relazione, astrazioni e concretezza, un balsamo per corpo e spirito. Diretto da Roberto Latini, che ne ha curato anche l’adattamento teatrale e ne è l’unico protagonista, lo spettacolo è in cartellone al Teatro Litta di Milano dal 15 al 20 maggio.
Intervista a Roberto Latini
“In che modo Il Cantico dei Cantici inneggia alla bellezza?”
In tutti i modi possibili che hanno a che fare con il sentire, che è una parola che custodisce in sé l’ascolto e la sensazione. E’ una diramazione quasi basica rispetto al teatro, a un palco e a una platea. Avviene questo scambio.
“A parte quelle religiose, quali sono le chiavi interpretative di questo spettacolo?”
La più forte credo sia l’occasione di prossimità. Sono parole piene di grande intimità e tenerezza, senza dare loro altra destinazione che non sia una cornice o una dimensione.
“Rappresenta un mondo fatto di sogni e parole?”
Rappresenta un mondo di concretezze ricco di sfumature. Una delle potenzialità del “Cantico dei cantici” è quella di accompagnare attraverso i sensi alcune descrizioni e alcuni dettagli. E’ molto potente laddove il dettaglio diventa piccolo, molto naturale, familiare e a tu per tu.
“Cos’ha a che fare Jean Cocteau con Il Cantico dei Cantici?”
Nella capacità che involontariamente ha la voce umana di essere mezzo. Mi piace pensare, e mi succede anche da ascoltatore alla radio, di poter essere attraversato da una voce. Come succede anche al telefono, con una voce umana che dà al non visto la possibilità di essere immaginato.