GIANGILBERTO MONTI E “LE CANZONI DEL SIGNOR DARIO FO”

Nell’esplorare il vasto repertorio musicale che Dario Fo ha firmato nella sua carriera – dai brani scritti con Fiorenzo Carpi per il teatro alle ballate ironiche composte con Enzo Jannacci per il cabaret, fino alle strofe barricadere sottolineate dalla chitarra di Paolo Ciarchi negli anni della Palazzina Liberty – Giangilberto Monti ha inciso sedici brani nel suo stile da chansonnier metropolitano. E lo ha fatto rivisitandoli con gli arrangiamenti swing del sassofonista Paolo Tomelleri, che qui si esibisce al clarinetto, accompagnato da musicisti d’eccezione: dal chitarrista Sergio Farina a Tony Arco alla batteria, da Fabrizio Bernasconi al pianoforte a Marco Mistrangelo al contrabbasso. Le canzoni del signor Dario Fo è in scena al Teatro del Buratto di Milano fino al 19 gennaio.

Il trailer dello spettacolo

Intervista a Giangilberto Monti

“Questo spettacolo è solo un omaggio a Dario Fo o c’è dell’altro?”

“E’ un omaggio a un mondo oltre che alle canzoni di Dario Fo. E’ una Milano che si racconta tra gli anni ’50 e gli anni ’70 e un regalo al mondo musicale e culturale di quel periodo. Vuole essere una rievocazione non solo in chiave musicale ma anche di racconto. E’ uno spettacolo di narrazione musicale, quindi parla di Dario Fo e Franca Rame, ma anche del mondo che loro vivevano e che io personalmente ho abitato per un periodo.”

“C’è tanta Milano nelle canzoni che verranno presentate?”

“Non solo. Ovviamente ci sono canzoni in dialetto, perché non dimentichiamo che gran parte del repertorio più noto di Fo è legato anche al nome di Jannacci. Però non c’è solo quello. Milano in quel periodo significa anche il teatro di Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi, con tutte le varie connotazioni intorno a questo mondo, quindi non si parla solo di musica. Il lavoro è incentrato proprio sul mondo musicale, perché tutti conoscono il teatro e io spero che si faccia sempre di più, ricordando anche il nome di Dario Fo.”

“Quali sono i brani che avete scelto?”

“Questa è una bella domanda, perché – come spesso dico anche all’inizio dello spettacolo – lui ne ha scritte più di 250. La maggior parte sono all’interno dei copioni, quindi forse sono meno note. Io personalmente ho lavorato tanto sulla selezione delle canzoni, senza dimenticare che ho fatto un primo recital nel 1999 con la supervisione di Dario Fo e Franca Rame dove avevo portato in scena 40 canzoni, ma era solamente un recital senza parole tra una canzone e l’altra con la pianista jazz Laura Fedele. Questo invece è proprio uno spettacolo, quindi da una parte abbiamo dovuto ridurre il numero delle canzoni e dall’altra scegliere anche quelle più rappresentative dei tre periodi più importanti di Dario Fo, che corrispondono alle sue collaborazioni: con Fiorenzo Carpi e il mondo più teatrale, con Enzo Jannacci e il mondo discografico e con Paolo Ciarchi, che invece rappresentava il periodo più barricadero e più da piazza.”

“Perché Dario Fo era un ribelle?”

“Dario Fo era un ribelle e lo è sempre stato fondamentalmente perché è riuscito sempre a pensare con la propria testa. Era soprattutto un genio della scena. Precorreva quello che sarebbe avvenuto più tardi. Il ribellismo deriva dal fatto che prima degli spettacoli riusciva ad andare oltre la forma di spettacolo intesa come rappresentazione. Di fatto diventava una sorta di cantore della realtà del tempo. Il termine “giullare” deriva proprio dal fatto che lui raccontava la realtà proprio per quello che era. I suoi spettacoli iniziavano con l’attualizzazione di quello che accadeva e che lui ovviamente filtrava con l’ironia. La cosa più importante per lui era far divertire lo spettatore e poi lo lasciava andare a casa con un senso di realtà di quello che gli stava accadendo. Il ribellismo nasce dal fatto che lui per molto tempo è rimasto lontano dai canali televisivi. Allora non esistevano i cellulari ed internet. O c’era la televisione oppure era molto difficile essere noto. Fo si è inventato un circuito teatrale che allora non esisteva: i circoli culturali, le piazze, i centri sociali e le fabbriche. Andava a portare i propri spettacoli in luoghi dove nessuno mai avrebbe pensato a quei tempi di portare il teatro.”

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Serena Agata Giannoccari per la gentile collaborazione