Un trittico di spettacoli della compagnia Carullo-Minasi, artefice dell’ultima piccola rivoluzione delle scene teatrali italiane. Una rivoluzione in punta di piedi e sempre con il sorriso sulle labbra, con cui i due artisti hanno unito idealmente Scilla e Cariddi, per conquistare l’intera Penisola facendo ricorso a un’arma antica, ma persuasiva come il dialogo.
De revolutionibus, Due passi sono e Delirio Bizzarro sono in scena alla sala Bausch del Teatro Elfo Puccini dal 26 al 31 marzo.
Parla Cristiana Minasi
“In che modo avete unito idealmente Scilla e Cariddi?”
“Più che idealmente, lo abbiamo fatto concretamente, visto che io sono messinese doc e Giuseppe Carullo è di Reggio Calabria. Siamo quindi riusciti a creare un ponte concreto di umanità ritrovandoci in questo incontro serio tra due persone che in realtà raccontano anche la storia di un percorso per questi cosiddetti Due passi sono: è un gioco sull’incontro reale tra le lontananze che non sono poi così evidenti.”
“Che cos’hanno in comune questi tre spettacoli?”
“Sicuramente il tema del prendersi cura dell’altro. Sicuramente Due passi sono e Delirio bizzarro si somigliano di più, perché sono due scritture originali. Due passi sono ha a che fare con i due personaggi che sono Cristiana e Giuseppe, affrontano un momento di convalescenza superando questo e riscontrando nella malattia un vero stimolo per comprendere che cos’è la vita e che cos’è il valore delle piccole cose, mentre Delirio bizzarro ha sempre a che fare con due personaggi, un uomo e una donna, di cui uno rispecchia le esigenze di ascolto nell’altro. Sembra che si parlino addosso, in realtà ciascuno parla per l’intera umanità, quindi ci sono due solitudini che rimbombano e si ritrovano in un’unità.”
“Che cos’ha a che fare Giacomo Leopardi con uno dei vostri spettacoli?”
“In realtà sembrerebbe distante, ma lo abbiamo trovato estremamente vicino. C’è una fortissima ironia e una grandissima provocazione sui temi dell’esistenza umana, quindi su quella che noi configuriamo in maniera anche simpatica e molto cinica come la miseria del genere umano. Giochiamo sui temi della piccolezza riconoscendo in essa la più grande forza.
Anche qui gli estremi più concreti della nostra poetica si riscontrano nel tema del limite e del confine: nel capire che cosa c’è che separa la presa di coscienza dell’essere umano da quello che diventa una marionetta nelle mani di un teatrino che è poi quello del ragione e del sopruso. In realtà è sempre il tema del confine, del limite e della soglia, di che cosa significa superare una soglia e quindi riuscire a stare dall’altra parte. Chi vedrà lo spettacolo capirà di cosa stiamo parlando, perché chiaramente con Leopardi si parla della distinzione tra natura e ragione. Abbandonata la natura e quindi la bellezza, ci si butta sulla cosiddetta ragionevolezza diventando degli esseri infimi e quindi diventando tutti uguali.”
“Uno dei vostri spettacoli parla anche del tema della malattia mentale. Vogliamo approfondire quest’aspetto?”
“Succede in Delirio bizzarro dove ci sono Minnino e Sofia. Minnino è il cosiddetto pazzo per attribuzione o babbo, come si direbbe al sud. In realtà, però, è estremamente cosciente di quelli che sono gli estremi della sopravvivenza. E’ totalmente dentro quello che è un sistema che abbandona. Si è molto parlato e si parla molto della legge Basaglia, ma in realtà quest’intuizione straordinaria che è diventato un ideale messo in pratica attraverso i centri diurni di salute mentale non ha saputo progettare la società stessa alla stregua di quello che era il progetto, perché si trattava di un progetto di inclusione.
Anche qui c’è un discorso su che cosa significano il limite, la soglia e la differenza che passa tra la malattia e la cosiddetta sanità. In realtà il personaggio di Sofia sembra essere assolutamente sano. Però non lo è, perché è vittima di una dimensione sociale che ci schiaccia e quindi la malattia mentale viene affrontata con estrema responsabilità. E’ un tema a cui teniamo molto e che è stato affrontato entrando nei centri diurni, quindi sbobinando quasi dei dialoghi tra operatori e cosiddetti malati. In realtà non si capiva quale fosse la differenza.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Ippolita Aprile per il supporto professionale