GIULIO CAVALLI, LA “DISPERANZA” NON È DISPERAZIONE

La chiameremo disperanza. Non è una disperazione. Disperazione è una manifestazione incontrollata di tristezza e rabbia. E’ un crollo verticale che presume una soluzione implosiva o esplosiva, un sentimento insostenibile sul lungo periodo, che porta alla rinascita o alla frantumazione. La disperanza invece ha un significato più tenue, ma cronico. Si tratta di qualcosa che insopportabilmente diventa sopportabile per lunghi periodi, uno status che può rimanere appiccicato per vite intere.
Disperanza è in scena in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 20 giugno. Ne è autore e unico interprete Giulio Cavalli.

Intervista a Giulio Cavalli

Che cos’è esattamente la disperanza?

E’ una sensazione che potrebbe essere considerata una disperazione più tenue, ma non per questo meno pericolosa, anzi. Essendo più flebile, rischia di rimanere attaccata addosso. Sostanzialmente è lo svegliarsi al mattino e avere contezza di non possedere la cassetta degli attrezzi per poter affrontare la giornata, per poter credere che qualcosa possa funzionare e andare meglio di così. E’ il rendersi conto di non avere possibilità da cogliere.

Come si comportano i disperanti?

Nello spettacolo e nel libro io li definisco “sottopensiero”. Spesso frequentano qualsiasi luogo come se fosse un non luogo, vivono qualsiasi tempo come se fosse un non tempo e vivono anche delle relazioni fatte di non amore. Si adagiano a vivere come se fossero spinti dalle azioni minime che servono. Quindi molto spesso qualsiasi azione vitale è semplicemente come un battere di ciglia, un cuore che pulsa e dunque semplicemente quella sussistenza minima.

In che modo sei partito dalla tua esperienza personale per scrivere questo spettacolo?

Ne volevo parlare da un po’, nel senso che il problema della depressione mi ha allontanato molto soprattutto dal teatro. E’ il mio mestiere che ne ha risentito di più e intorno c’erano anche una serie di voci abbastanza inconsistenti. Quindi, siccome di solito chiedo sempre al mio pubblico e ai miei lettori una relazione molto intensa e profonda, mi sembrava il minimo confessare tutto questo, anche perché nel momento in cui si vive una difficoltà psicologica, psichiatrica o semplicemente affettiva, ritengo assolutamente indispensabile come primo passo per qualsiasi guarigione o liberazione la condivisione. Quindi, se la chiedo agli altri, è inevitabile che debba praticarla anch’io.

Perché serve una cassetta degli attrezzi per continuare a sperare?

Perché non è vero che tutto va bene, perché non è vero che questo è il mondo migliore possibile e perché non è assolutamente vero che dobbiamo adattarci a vivere in contesti professionali ma anche sociali, familiari e affettivi così come capitano. La resilienza è una truffa ed è la stessa truffa di cui parlava Mario Monicelli quando si riferiva alla speranza, solo che l’hanno travestita con una parola nuova. Bisogna resistere e pretendere che tutto quello che ci sta intorno sia alla nostra altezza.

  • Foto del sito del Teatro della Cooperativa
  • Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione