C’era una volta Carla Fracci. Una grandissima ballerina classica, orgoglio nazionale in tutto il mondo, una delle eccellenze di cui il nostro Paese deve andare più fiero. Scomparsa il 27 maggio 2021 a 84 anni, Carolina Fracci (questo il suo nome all’anagrafe) ha interpretato i più grandi balletti della tradizione classica, volando sulle sue leggendarie punte, e si è cimentata coraggiosamente anche con il repertorio contemporaneo. Era però anche una pasionaria coinvolta nella difesa dei diritti degli artisti. Ad amarla non è stato solo il pubblico, ma anche poeti come Eugenio Montale ed Eduardo De Filippo e registi come Luchino Visconti, Federico Fellini e Mauro Bolognini.
Una favola sulle punte – Carla Fracci è in scena alla sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano dal 17 al 19 giugno. Lo spettacolo fa parte della rassegna Le Milanesi – Sciure, gagarelle e ariose, dedicata a Filippo Crivelli, ideata e curata da Valeria Cavalli. Ne sono protagoniste Monica Faggiani e Valentina Ferrari, con la partecipazione di Lorenzo Castelluccio al canto e alla chitarra e Carlo Zerri al pianoforte e alle tastiere.
Intervista a Valeria Cavalli
La danza classica richiede, rispetto ad altre forme d’espressione, forse ancora più disciplina e forza di volontà. Oltre ovviamente al talento indiscusso, furono queste due doti i punti di forza di Carla Fracci che la portarono a diventare una star mondiale?
In realtà, i primi tempi, quando era in Accademia da bambina, Carla Fracci era considerata abbastanza svogliata, perché voleva fare la parrucchiera, non la danzatrice. Poi c’è stato il colpo di fulmine con la danza e da quel momento è diventata la ballerina per eccellenza, la Callas del balletto classico. Disciplina, serietà, metodo, e grande talento messi insieme a una personalità molto volitiva hanno fatto nascere la grande ballerina che è stata.
Quanto emerge nello spettacolo della Carla Fracci artista e della Carla Fracci donna?
Ho cercato di raccontare entrambe le facce della stessa medaglia, perché da una parte abbiamo il lato più conosciuto, quella della Fracci sul palcoscenico. Dall’altro c’è la Fracci impegnata politicamente e la madre. All’epoca si diceva infatti che avere un figlio segnasse la fine di una carriera. Lei ha saputo coniugare invece la propria vita artistica con quella personale. Ha lasciato il tutù e il suo ruolo in camerino, ha scelto di fare la mamma e l’ha fatto in maniera egregia.
Un po’ per invidia e un po’ perché quando si è molto giovani si può essere altrettanto crudeli, le compagne di corso la chiamavano Carla Stracci. Deve essere stata una bella rivincita per lei arrivare dov’è arrivata…
Assolutamente sì! Le avevano affibbiato quel soprannome dispregiativo perché Carla Fracci veniva da una famiglia molto povera. Da giovani ci sono un’acidità e una leggerezza nell’usare certi epiteti che poi, una volta cresciuti, uno perde. Carla è riuscita a raggiungere il successo mondiale, ma è stata anche criticata perché ballava nelle chiese, nelle piazze e nelle fabbriche. Tutti, tra cui Rudolph Nureyev, le chiedevano meravigliati perché andasse a lavorare in quei posti e volesse a tutti i costi stancarsi. In una tournée a Bari le domandarono stupiti perché partisse per l’Africa. Nessuno le ha mai perdonato il suo lato popolare.
Quanto traspare nel vostro spettacolo della Milano e della milanesità di quegli anni? Del resto il capoluogo lombardo è un po’ il fil rouge di questa rassegna…
Siccome Carla Fracci è un personaggio internazionale rispetto a Franca Valeri, alle sorelle Giussani e alla Biki, abbiamo parlato di Milano, soprattutto di quella dei tram, perché il padre di Carla, il signor Luigi, era un tranviere. Questa volta ci siamo però lasciati un po’ trasportare e siamo andati anche un po’ oltre il capoluogo lombardo. Abbiamo parlato della “Milano vicina all’Europa”, come diceva Lucio Dalla, della città internazionale e della fama che ha in tutto il mondo dovuta anche al Teatro alla Scala e alla sua importanza.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione
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