“LA BOTTEGA DEL CAFFE'”: LA FEBBRE DEL GIOCO D’AZZARDO

Quelli di Grock

Il Teatro Leonardo di Milano propone fino al 7 maggio La bottega del caffè di Carlo Goldoni. Adattato da Valeria Cavalli che ne è anche la regista con Claudio Intropido, vede protagonisti in scena Gaetano Callegaro, Pietro De Pascalis, Jacopo Fracasso, Cristina Liparoto,Andrea Robbiano, Roberta Rovelli, Simone Severgnini, Marco Rigamonti e Debora Virello.

Da Venezia a Las Vegas

Scritta nel 1750 da Carlo Goldoni, La bottega del caffè tratta un tema di grandissima attualità: la passione per il gioco d’azzardo, che spesso porta alla rovina. E’ una febbre che divora, lascia poco spazio alla vita vera e ai rapporti interpersonali che si sporcano di menzogne e di condotte disoneste. L’azione, che nella commedia originale si svolge in un campiello veneziano, è trasportata in una specie di Las Vegas decadente in cui si respira un’aria di degrado, un luogo in cui si muove con disinvoltura il pettegolo Don Marzio, che si insinua nelle vite degli altri creando scompiglio.

 La parola a Valeria Cavalli

“Come mai avete spostato la scena da Venezia a Las Vegas?”

“Perché lo spettacolo parla di una bottega che si affaccia su un campiello veneziano dove ci sono anche la casa di Lisaura, una ballerina o presunta tale, e una bisca. Tutto il testo goldoniano ruota intorno al gioco e alle perdite economiche del signor Eugenio, un giovane che viene attirato nella bisca dal conte Leandro e dal padrone della bisca Pandolfo, che lo spennano come un pollo. Quindi il tema principale è proprio quello del gioco.

Goldoni  era un grandissimo giocatore. In ogni sua commedia c’è un accenno al gioco d’azzardo. Allora noi abbiamo pensato: quale luogo più adatto di Las Vegas? Una Las Vegas in realtà decaduta, con luci mezze spente e mezze accese, e un decoro lasciato andare. Ci vengono subito in mente certe sale da bingo dall’aspetto triste: luoghi in cui non si sa nemmeno quando è giorno e quando è notte, dove si perde anche un po’ il senso della vita. Si va avanti a giocare sperando nella buona sorte, quando in realtà si sa già che il banco vince sempre”.

“In che modo avete rivisitato quest’opera di Carlo Goldoni?”

“Proprio perché abbiamo voluto sottolineare il discorso sul gioco d’azzardo, sono stati necessari dei decisi cambiamenti al testo, che è stato riscritto mantenendo sempre gli stessi personaggi. Abbiamo però dato più spazio alla bisca. Nel testo goldoniano è un luogo nascosto, perché nella Venezia del Settecento il gioco d’azzardo era tollerato. Un po’ come adesso, però era meglio non mostrarlo. Noi invece abbiamo pensato di sottolineare di più quest’aspetto. Quindi anche nel testo è più presente il problema del gioco e di questa dipendenza”.

“Qual è il vero dramma dei protagonisti di quest’opera?”

“E’ proprio questo: il perdersi. Molto spesso i giocatori promettono di smettere e di giocare per l’ultima volta. Promettono che finirà questa fatica di dover sempre rincorrere la pallina che rimbalza sulla roulette o i dadi o le carte. Invece poi, ogni volta, ricascano nella stessa macchina. Il gioco è infatti una macchina, che prima ti seduce e poi ti abbandona. Tanto la fortuna, come si dice nel testo, guarda sempre da un’altra parte”.

“Nel 1997, il Teatro dell’Elfo ha fatto una bellissima versione di quest’opera. In scena c’erano Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Gabriele Calindri e molti altri attori della compagnia dell’Elfo. Temete in qualche modo il confronto?”

“‘La bottega del caffè’ dell’Elfo era bellissima e gli attori erano bravissimi. Il testo era di Fassbinder, non di Goldoni. Sicuramente Ferdinando Bruni nel ruolo di Don Marzio rimane nel cuore di tutti gli spettatori. Però noi abbiamo una nostra cifra stilistica. Rimaniamo coerenti allo stile di ‘Quelli di Grock. Si susseguono  atmosfere molto divertenti, canzoni, musica e personaggi caratterizzati. E’una ‘Bottega del caffè’ molto diversa. Non temiamo il confronto perché non ci sarà. Sono due testi completamente differenti”.