Le mafie rappresentano da sempre strati di potere sedimentato e inestirpabile e sono alimentate anche dalle leggende che circolano riguardo a loro. Quanto c’è di vero, però, nei racconti che vengono fatti ogni giorno? Forse è ora di pensare che il da poco scomparso Totò Riina non fosse in grado da solo di decidere le sorti di un unico Paese. Forse è venuto il momento di chiederci cosa ci dice il fatiscente covo di Bernardo Provenzano. Giulio Cavalli, al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 6 dicembre (con una pausa il 4) tenta di rispondere a queste domande nel suo spettacolo Mafie, maschere e cornuti – Giullarata antimafiosa. Partendo dal testo Nomi, cognomi e infami (che ha girato l’Italia con oltre 500 repliche), l’attore smonta l’onorabilità mafiosa delle nuove leve, ne racconta i vizi privati e ne sfata il mito dell’onore.
Parla Giulio Cavalli
“Perché in questo spettacolo la mafia non fa così paura?”
Perché nel momento in cui riusciamo a smutandarla e a raccontare come sono fatti veramente i mafiosi ci rendiamo conto che sono peggiori di noi. Quindi ci accorgiamo anche di avere avuto paura delle cose sbagliate.
“Questo spettacolo dà la prova che la risata è l’arma più potente contro i prepotenti. E’ così?”
Non so se questo spettacolo ne sia la prova. Quello che ci auguriamo noi con il nostro impegno è che continui un filone secondo il quale la risata è il modo migliore per far passare notizie che vengono sottovalutate dalla censura dei potenti.
“La mafia ha paura della comicità che la prende in giro?”
Tantissima. Ha paura di tutti i concetti di normalizzazione. Io infatti credo che stiamo commettendo da troppo tempo l’errore di mitizzare la criminalità organizzata.
“In questo monologo lei presenta una carrellata di personagi variegati. Ci vuole dare un’anticipazione di chi sono?”
Totò Riina, ma soprattutto i suoi figli, perché la sua famiglia ci è stata presentata come un luogo maledetto per le gesta criminali del padre. Poi parlo di Bernardo Provenzano, di Matteo Messina Denaro, che non è quella Primula Rossa che la leggenda criminale vuol far credere, ma che cadrà anche lui come altri potenti per le gesta del suo pisellino. Arrivo poi a due operazioni assolutamente significative: la “Freezer” di Alcamo, in cui un gruppo di mafiosi si surgelò in una cella frigorifera per non farsi intercettare, e quella dei due Fratelli Marchesi, che secondo le regole di Cosa Nostra vietano a una donna figlia di separati di sposarsi. Progettano così di uccidere il padre di lei in modo tale che rientri nelle regole.