Il solstizio d’inverno è la notte più buia e lunga dell’anno, un lungo tramonto dove pare che il buio abbia vinto per sempre. Un’antica leggenda narra che fu proprio in questa notte che il Santo Cavaliere sconfisse il drago ed è in una notte come questa che è ambientato Aquile randagie – credere disobbedire resistere, storia vera, avvenuta in una lunga notte dell’umanità dove le tenebre sembravano vincere e dove i cavalieri lottavano contro il drago perché la luce tornasse al mondo.
Aquile randagie è in scena in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 19 dicembre. Lo spettacolo è stato scritto da Alex Cendron, che ne è anche l’unico protagonista, con la regia di Massimiliano Cividati.
Quattro domande ad Alex Cendron
Questo spettacolo nasce da una storia vera. Cos’ è successo realmente?
Pochi lo sanno, ma in Italia nel 1928 il fascismo mise fuori legge lo scoutismo, quindi si dovette smettere di praticarlo. Ci fu un gruppo molto ristretto di ragazzini a Milano – il più vecchio aveva 24 anni – che decisero invece di fare scoutismo in maniera clandestina, perché ritenevano ingiusto dover smettere di fare una cosa che non faceva male a nessuno e che, anzi, era un’attività di libertà di pensiero. Le attività clandestine avevano tutti i crismi: giochi, campi e tutto quello che si fa normalmente in ambito scout, subendo pestaggi e rischiando comunque la pelle. Continuarono per 17 anni, fino alla Liberazione, nel 1945. Questa è la storia di base.
Perché Mussolini voleva abolire lo scoutismo?
Perché l’educazione dei giovani è un tassello importantissimo per uno Stato, qualunque esso sia. Ci sono Paesi che investono poco perché non l’hanno capito e altri, invece, come le dittature, che lo hanno compreso benissimo. Infatti è un fronte su cui intervengono spesso per avere controllo e formare le giovani menti. Anche se hanno delle similitudini esteriori, dato che i Balilla copiarono dagli scout alcuni stilemi esteriori, in realtà sono due movimenti educativi totalmente agli antipodi. Lo scoutismo è fatto per cercare la diversità di ogni ragazza o ragazzo e quindi farli sviluppare nella loro unicità. L’educazione militare dei Balilla, invece, era quella di inculcare che il fascismo era la cosa giusta e formare persone tutte uguali, i futuri soldatini.
In che cosa sta il coraggio di questi ragazzi?
Nei più piccoli suppongo che stesse semplicemente nel fatto di fare quello che volevano fare. In adolescenza lo fanno anche oggi, perché l’adolescente è sempre ribelle rispetto a uno Stato padrone o padre. Quelli più grandi, invece, volevano mantenere una propria attività di pensiero e libertà, essendo sicuri e coscienti del fatto che non facevano del male a nessuno, anzi. E lo fecero mantenendo un rapporto internazionale, perché lanciare la mente e lo sguardo oltre i confini dell’Italia fu una salvezza per loro.
Come nasce l’idea del titolo “Aquile randagie”?
E’ il nome del gruppo e lo scelsero loro. Nello spettacolo lo spiego: dopo lo scioglimento dello scoutismo, tentarono in più modi di continuare a fare attività. A un certo punto persero ogni possibilità di avere una sede e quindi erano randagi. Dunque optarono per questo nome perché si sentivano delle aquile randagie. Poi io ho aggiunto “credere, disobbedire, resistere”, una sorta di deformazione del motto fascista, perché in quegli anni lo scoutismo cercava di contendersi alcuni simboli, come l’aquila che era un simbolo fascista forte, per riprendersi parte della propria vita. Quindi si oppone a “credere, obbedire, combattere”. Loro invece resistettero e combatterono senza armi né violenza.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione
- Foto in evidenza di Laila Pozzo
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