Valentina Cervi, “La strada che va in città”

La strada che va in città è uno spettacolo tratto dal romanzo d’esordio di Natalia Ginzburg, che racconta la storia di Delia, una ragazza che accetta un matrimonio d’interesse, sceglie quindi “la strada che va in città”, salvo poi scoprire che il vero amore si trova altrove.

La strada che va in città è in scena al Teatro Gerolamo di Milano il 19 e il 20 marzo. Ne è protagonista Valentina Cervi con la regia di Iaia Forte.

La parola a Valentina Cervi

“La strada che va in città” rappresenta in qualche modo una metafora?

Più che una metafora è un romanzo molto moderno da tanti punti di vista. Primo fra tutti quello tecnico della scrittura di Natalia Ginzburg, così immediata, aspra, pungente e contemporanea. E’ quindi una metafora di contemporaneità. In secondo luogo, c’è il fatto di non essere visti dai propri genitori e quindi di sognare una realtà diversa a cui attingere e approdare in contrapposizione alla propria. Natalia Ginzburg lo fa in maniera struggente e connota il romanzo in certi anni. E’ stato il suo primo vero libro. Lei stessa era confinata in un paesino in Abruzzo perché il marito era stato accusato di antifascismo e quindi era stato confinato. Ha scritto così il romanzo di una ragazza confinata a vivere in mezzo alla cacca dei polli, che sogna la città e picchiata dalla madre.

Perché le passioni di Delia sono senza via d’uscita?

Lei rinuncia a un grande amore per un cugino alcolizzato. Se lei avesse scelto la strada dell’amore, sarebbe stata di inevitabile sofferenza. L’approdo a un matrimonio di convenienza arriverà a bussare alla porta e sarà un compromesso che lei ha fatto. Delia non si farà sconti: sogna la città, la ricchezza, le pellicce. Dice che non voleva più tornare su quella strada polverosa piena di cacca di polli e quindi si traveste come sua sorella, una donna che si trucca, si imbelletta, che voleva essere guardata e desiderava essere ritenuta dalla gente la donna più bella del mondo. In realtà tutto ciò è struggentemente triste. Lei si ritrova a casa con un bambino da accudire e con una maternità che non riesce a gestire. E’ senza via d’uscita perché in qualche modo la famiglia può segnare per sempre una persona, se dall’infanzia non si viene visti, se si viene picchiati e non considerati, è difficile emanciparsi da quella cosa.

Quanta solitudine c’è in questo personaggio?

Tanta, perché non riesce a trovare la felicità. Ci sono un’urgenza e una passione che la spingono in avanti e che le fanno trovare un’alternativa alla sua vita, però fa degli errori, non riesce a fidarsi di se stessa abbastanza da poter riconoscere l’amore, quindi si fa andare bene un matrimonio di convenienza. Ha raggiunto una nuova classe sociale e non riesce a comprendere quello che è meglio per lei perché non ha gli strumenti per farlo.

E’ un personaggio alla ricerca di un riscatto sociale?

Prima di tutto di un riscatto emozionale, che poi, dato che uno deve trovare concretamente una motivazione, è l’andare in città e lo sposarsi un buon partito. Però in realtà il riscatto è andare via da quella casa ed essere guardata da qualcuno. In fondo l’uomo che lei sposa per convenienza la ama moltissimo. Quindi si sente finalmente appoggiata addosso lo sguardo di un uomo che la ama. E’ lei che non lo ama.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Maurizia Leonelli per la collaborazione
  • Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere tutte le nostre interviste video