Debutta il 24 novembre al Teatro della Cooperativa dove rimarrà in scena fino a domenica 26 lo spettacolo di Alessandro Ciacci, uno degli artisti comici più talentuosi e promettenti degli ultimi anni. Scritto a quattro mani con Carlo Turati, Affabu(r)lazione affronta le tematiche più attuali e controverse della generazione di Ciacci.
Quattro domande ad Alessandro Ciacci
E’ provocatoria e ironica quella “r” che c’è nel titolo tra parentesi?
Assolutamente sì. Nasce come gioco di parole tra “affabulazione” e “burla”: è qualcosa che fonde i due concetti alla base dello spettacolo: l’affabulazione, quindi la parola, e la burla, cioè la comicità. E’ uno spettacolo che vuole fare entrare il pubblico nel mio mondo comico e di conseguenza farlo ridere il più possibile
Perché l’Accumulo è il punto di forza di questo monologo?
Direi proprio che lo è, a differenza di una concezione comica più tradizionale che gioca di più sulla sottrazione dal punto di vista lessicale sul palco. In Italia abbiamo la tradizione del comico ignorante che fa leva sul fatto di esserlo. Giocare d’accumulo vuol dire porsi da tutt’altra ottica: è un flusso di coscienza che provoca lo straniamento dello spettatore. Nel presentarlo abbiamo parlato di montagne russe. C’è una narrazione principale ma ogni gancio offerto da essa viene usato come una sorta di tana del Bianconiglio in cui buttarsi e andare a cercare altre meraviglie. Molti ganci sono previsti ma molti altri nasceranno anche in fase di improvvisazione. Quindi c’è il tentativo di fare uno spettacolo coacervo, che punti più sulla molteplicità che su altri aspetti comici.
Infatti non c’è un unico tipo di linguaggio nel monologo. Utilizzi diversi stili.
E’ esattamente così. Il refrain dall’inizio alla fine è la grande digressione. Ha ovviamente molti più riferimenti letterari che comici e va benissimo anche così. Poi c’è la possibilità del testo recitato e quindi poetico. Ci sono digressioni che hanno a che fare con tutti gli argomenti possibili o immaginabili: parliamo di aurore boreali, di bisonti, di Rimini e di filosofia. Soprattutto c’è l’improvvisazione con il pubblico: è sempre e costantemente chiamato ad essere parte attiva dello spettacolo.
Come reagiscono gli spettatori quando interagisci con loro?
Diventano parte integrante dello spettacolo. Se si conduce la cosa con garbo, piace molto, perché si sentono protagonisti a tutti gli effetti. Non amo la verticalità del performer sul palco con il pubblico sotto. Parlerei piuttosto di una sorta di orizzontalità. Questo diverte me e a maggior ragione anche gli spettatori. Molto spesso negli spettacoli in cui c’è un clima più informale, dico sempre, scherzando, che mi interessa di più quello che hanno da dire gli spettatori che quello che devo dire io. Invito sempre molto a intervenire. In passato nei format veri e propri il pubblico faceva arrivare sul palco biglietti con argomenti o parole chiave su cui dovevo improvvisare anche dei monologhi. A me piace molto: è una cosa che integro sempre molto volentieri all’interno dei miei spettacoli.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Tatulli
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