Riesco solo ora a scrivere un saluto a Ludovica Modugno, che ci ha lasciati esattamente un mese fa. Prima, l’onda emotiva era troppo forte per omaggiarla pubblicamente nella maniera lucida che meritava. La sera del 26 ottobre, quando è uscita la notizia della sua scomparsa, non ho voluto crederci. Perché qualcuno a giugno ebbe il pessimo gusto di divulgare sui social la fake news che Ludovica se n’era andata. Ci sono cascati in tanti, persino Wikipedia e il precisissimo sito sui doppiatori curato da Antonio Genna. La smentita è arrivata la sera stessa. Ludovica era stata colpita da un brutto malore, ma ancora tra noi. Con l’ironia e la leggerezza che la contraddistinguevano, un mese dopo, scrisse un post su Facebook in cui spiegava che era ancora viva, ringraziando chi l’aveva data invece per morta perché le aveva allungato la vita.
Invece la sera del 26 ottobre ci ha lasciati sul serio, proprio a causa delle conseguenze di quel malore. E se n’è andata in punta di piedi, come spesso fanno i grandi. Negli ultimi anni eravamo diventati amici.
Vorrei quindi parlare di quello che ha significato e regalato Ludovica allo spettacolo italiano, ma anche del nostro rapporto, di quanto sono fiero ed entusiasta di averla avuta come amica, anche se solo per breve tempo. L’unico rimpianto che ho è quello di non averla conosciuta più profondamente.
Una volta le fu chiesto: “Siete attori o doppiatori?” “Noi siamo doppiaTTori”. E’ vero. Dentro una sintesi così intelligente c’era dentro un mondo: il suo. Perché Ludovica Modugno, come tanti artisti della sua generazione, era una bambina prodigio. Il debutto nel mondo dello spettacolo avvenne a soli quattro anni, nel 1954, con lo sceneggiato televisivo Il dottor Antonio, diretta da Alberto Casella, nel ruolo di Gigetta. Più o meno nello stesso periodo ci fu l’esordio davanti al microfono in un’età in cui un bambino non sa nemmeno leggere e in sala di doppiaggio impara le battute a memoria. Era di Ludovica infatti la voce italiana di Pablito Calvo, in Marcellino pane e vino, dove condivideva il leggìo con i grandi di allora: Giorgio Capecchi, Mario Besesti, Emilio Cigoli, Giuseppe Rinaldi, Rosetta Calavetta. Altri nomi importanti erano in quel periodo Alberto Sordi, Lydia Simoneschi e Andreina Pagnani.
Ludovica torna in tv a sette anni, nell’Alcesti di Euripide, con la regia di Guido Salvini e Antonello Falqui. Solo in seguito arriva il cinema: il primo film che la vede protagonista a 20 anni è Italiani! E’ severamente proibito servirsi della toilette durante le fermate, di Vittorio Sindoni. Partecipa agli sceneggiati televisivi più importanti degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’Italia soffriva ancora le conseguenze della seconda guerra mondiale e la televisione era un lusso che molti non si potevano permettere. Ci si riuniva al bar o dai vicini. Eccola allora in Cime tempestose, Ricordo la mamma, Romanzo di un maestro, Il novelliere e La Pisana, dove interpretava la bambina protagonista.
Sia che si trattasse di farlo davanti a una telecamera, a un microfono o su un palcoscenico, Ludovica amava più di tutto recitare e lo faceva egregiamente. Il teatro era la sua casa: è stata protagonista di innumerevoli spettacoli: da Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli a Le baruffe chiozzotte di Giorgio Strehler, da Così è se vi pare a Il ponte di San Luis Rey di Paolo Poli; da tanti spettacoli di Cesare Lievi come La badante a I love Alice diretta da Elena Sbardella, fino all’ultimo lavoro, Il nodo, una pièce sul bullismo nel mondo dell’infanzia, che la vedeva protagonista accanto ad Ambra Angiolini, diretta da Serena Sinigaglia.
Come non parlare dell’incontro che le ha cambiato la vita? Quello con Gigi Angelillo, che divenne anche suo partner. Nel 1978 fondarono insieme una compagnia teatrale, L’albero, con cui produssero e interpretarono tanti spettacoli. Uno su tutti, gli Esercizi di stile di Raymond Queneau, che nel 1991 le valse il premio “Biglietto d’oro”. Sono tanti i riconoscimenti teatrali, tutti meritatissimi, che la consacrarono.
Ludovica Modugno eccelleva in ogni campo e ha saputo emozionarci facendoci ridere in Quo vado, dov’era la mamma di Checco Zalone. Nel doppiaggio, però, ha brillato particolarmente: ha dato la voce a Cher in quasi tutti i suoi film: le sue performance in Stregata dalla luna e Le streghe di Eastwick sono state indimenticabili. Una volta disse ironicamente che ringraziava Cher, perché con tutti i lifting che si era fatta, la bocca era talmente bloccata che il sync non rappresentava un problema. Ci ha fatto piangere doppiando Ali Mc Graw in Love Story, dove pronunciava una delle frasi più famose della storia del cinema: “Amare significa non dover mai dire mi dispiace”, ma anche “Ti sembra giusto? Morire a 24 anni senza aver mai visto cantare i Beatles dal vivo”.
E poi Glenn Close, Anjelica Huston, Emma Thompson, Hanna Schygulla ne Il matrimonio di Maria Brown, persino Elizabeth Taylor ne Il giovane Toscanini. Uno dei suoi ultimi lavori al microfono fu Ella & John del nostro Paolo Virzì, dove in stato di grazia faceva parlare in italiano Helen Mirren. Come dimenticare poi l’interminabile Dallas, la serie televisiva degli anni Ottanta, quelli dell’edonismo reaganiano, in cui dava la voce a Victoria Principal, alias Pamela?
Non posso prescindere dal mio rapporto personale con lei e credo sia giusto renderle omaggio parlandone. L’ho conosciuta telefonicamente nel 2014. In quel periodo, venne a Milano in tournée con lo spettacolo A piedi nudi nel parco, dove interpretava la madre di Vanessa Gravina, con la regia di Stefano Artissunch. L’ho intervistata al telefono ed esordii dicendole: “Mi sembra di parlare con Cher!” “Mi spiace per lei, ma non è così!”, mi rispose con la prontezza della battuta che solo le persone intelligenti possono avere. Quando un anno dopo sono venuto a sapere della scomparsa di suo marito Gigi Angelillo le ho scritto una mail cui lei ha prontamente risposto in modo gentile e premuroso.
In occasione dei 70 anni di Cher, mi fu chiesto di scrivere un pezzo. Non si poteva non parlare della sua voce italiana e quindi le dedicai un paragrafo. “Credo che sia uno degli articoli più precisi e dettagliati che siano stati scritti su di lei”, mi disse ringraziandomi
Passò qualche anno ed ebbi l’occasione di intervistarla di nuovo al telefono per I love Alice. In quello spettacolo divideva il palco con un’altra grande voce del doppiaggio italiano: Paila Pavese. Anche qui vale la pena di citare una battuta molto famosa: “Non sono cattiva. E’ che mi disegnano così”, che la Pavese pronunciava dando la voce a Jessica Rabbit. Alla seconda intervista che facevamo, mi disse: “Senti, possiamo darci del tu? Io do del lei solo a chi mi sta antipatico!”.
Sapeva metterti a tuo agio, rompere il ghiaccio e dire le parole giuste al momento giusto. In quell’occasione le parlai del mio libro autobiografico, Due uomini e una culla, in cui racconto la storia della mia famiglia Arcobaleno e di mia figlia Anna, che oggi ha sette anni ed è nata in California grazie alla gestazione per altri. La invitai alla presentazione a Roma, ma lei non poteva venire perché era impegnata sul set di un film di Paolo Virzì. “Però lo voglio assolutamente leggere!” mi disse. Le spedii una copia con dedica: “A Ludovica, maestra d’arte e di vita, che l’amore nella tua vita vinca sempre.”
Mi chiamò per ringraziarmi e dirmi che lei, invece, della vita si riteneva ancora un’allieva, aggiungendo che avrebbe letto il libro durante le vacanze di Natale. A metà gennaio mi arrivò un suo messaggio: “Grazie per avermi regalato serenità e grazie anche a Gianni ed Anna, insostituibili protagonisti della storia. Ti voglio bene. Dopo avere letto la tua storia, mi sembra di conoscerti da sempre”. Ancora una volta le parole giuste al momento giusto.
Nel 2019 finalmente siamo riusciti a incontrarci, anche se solo per poco. Venne a Torino per rappresentare I love Alice ed ebbi il piacere di conoscere anche Paila Pavese. Entrammo subito in grande sintonia, grazie anche a mia figlia Anna e a mio marito Gianni che volli presentarle. Ci sapeva fare con i bambini e anche parecchio, tanto che quello stesso anno, il 2 agosto, fece ad Anna un regalo bellissimo: un messaggio vocale con la voce di Gregoria, il gargoyle che doppiava nel cartone animato Vampirina, per cui mia figlia andava pazza. Anna era sbalordita dalla magia che sapeva trasmettere quella voce. Va detto che Ludovica aveva la capacità di calarsi nei ruoli più diversi con estrema naturalezza e credibilità. Il suo timbro profondo, caldo e sensuale era anche molto duttile, tanto da saper interpretare alla perfezione anche i personaggi più caratterizzati, tipici dei cartoni animati.
Era poi una donna fortemente impegnata nel sociale e nella politica di sinistra, tanto da fare da speaker alla manifestazione della Cgil al Circo Massimo il 23 marzo 2002 promossa da Sergio Cofferati contro l’attacco di Silvio Berlusconi e Confindustria ai danni dell’articolo 18, quello che tutela i licenziamenti dei lavoratori senza giusta causa. “Siamo tre milioni, tre milioni!” disse orgogliosa all’altoparlante.
Speravo di riuscire a rivederla e salutarla andando a teatro a vedere Il nodo. Mi ero ripromesso di farlo a Genova nel febbraio del 2020, ma per colpa del Covid lo spettacolo venne annullato. Avrebbe dovuto venire al Teatro Franco Parenti nel marzo 2022. “Finalmente ci rivedremo”, pensai. Invece no. Non potrò avere questa occasione. Mi consola solo il fatto che ora ha smesso di soffrire e raggiunto finalmente il suo amato Gigi.
“Come vorresti morire?” le fu chiesto in un’intervista. “Senza morire”, rispose. Ci è riuscita perfettamente.
Ciao, Ludovica, grazie. E mi raccomando: fai bei sogni.
Andrea Simone