Era il 30 settembre 1975 quando dei lamenti provenienti da una Fiat 127 bianca a Roma fecero scoprire uno dei crimini più atroci ed efferati della storia italiana: il massacro del Circeo. In una villa sul mare il branco formato da Andrea Ghira, Angelo Izzo e Gianni Guido torturò ripetutamente e uccise con atroci sevizie la giovanissima Rosaria Lopez. Insieme a lei c’era anche l’amica Donatella Colasanti, che si salvò dalla furia omicida fingendosi morta e che venne ritrovata agonizzante nel bagagliaio dell’auto. Morì di tumore nel 2005.
Un fatto di cronaca al Teatro Litta
Ancora oggi, chi nel 1975 era già nato e lo sente soltanto nominare, rabbrividisce e riporta alla memoria il turbamento di un Paese di fronte a un evento così assurdo. Un evento che ora l’autore e regista Filippo Renda porta sul palcoscenico del Teatro Litta dal 14 al 24 marzo. Scritto a quattro mani con Elisa Casseri, Circeo il massacro vede protagonisti Michele Di Giacomo, Luca Mammoli, Arianna Primavera e Alice Spisa.
Parla l’autore e regista Filippo Renda
“Come viene presentato qui il massacro del Circeo e che taglio drammaturgico avete dato allo spettacolo?”
“Non viene raccontato sicuramente il fatto in sé. Lo spettatore non vedrà avvenire il delitto in scena, perché abbiamo pensato che è una cosa troppo grande per essere racchiusa dentro un palco teatrale. Pensiamo che il teatro debba interrogarsi sui massimi comuni denominatori delle vicende e in più a noi interessava domandarci cosa ci fosse all’interno di quel fatto che ancora ci riguarda e ancora ci fa provare emozioni fatte di paura e di smarrimento. Quindi racconteremo il meccanismo della violenza contenuto in quel delitto e negli eventi di tutti i giorni di tutti noi, ovviamente con diverse gradazioni. Il meccanismo è però quasi sempre lo stesso.
In più lo spettatore vedrà il tentativo di Donatella Colasanti di ricostruire una realtà alternativa, perché all’epoca dei fatti la vittima aveva 17 anni e da lì ha dovuto ripercorrere quell’evento tutti i giorni della propria vita per 30 anni, nonostante abbia cercato di dimenticarlo. Quindi noi raccontiamo questo tentativo di oblio.”
“Perché viene messo in dubbio il fatto che sia stato davvero un crimine così assurdo?”
“Non viene tanto messo in dubbio il fatto che sia stato un crimine assurdo quanto che lo sia stato l’evento, inspiegabile e straordinario. Si pensa a quel fatto come se fosse fuori contesto, invece racconta esattamente una società che viveva in anni in cui la violenza per le strade era all’ordine del giorno.”
“Il delitto del Circeo avvenne esattamente a metà degli anni ’70, nel pieno degli anni di piombo. E’ lo spaccato preciso dell’Italia di quell’epoca quello che raccontate?”
“Proprio così. Secondo noi ha molto in comune con quello che stiamo vivendo oggi. E’ un’epoca in cui la violenza fa parte della società ed è una violenza che una classe dominante commette ai danni di una classe deputata inferiore. Prima c’era un discorso di classe interno: per esempio, a Roma era un discorso tra borghesia e borgata; a Milano e Bologna era incentrato sulla gente del sud. Oggi è una violenza che viene fatta ai danni degli extracomunitari. E’ però un tipo di sopraffazione che si perpetrava tutti i giorni come oggi e che pian piano si sta normalizzando, quindi viene giustificata. Lentamente ma insesorabilmente si alza la posta sempre di più, finché avviene il fatto di cronaca che stupisce tutti.”
“Infatti ti volevo proprio chiedere che parallelismi presentate tra la società di allora e quella di oggi.”
“E’ una società in cui il linguaggio violento entra nel vocabolario del cittadino comune. Noi utilizziamo un film di quegli anni, uscito nel marzo 1975, quindi sei mesi prima dei fatti del Circeo: Profondo rosso di Dario Argento. In quel film c’è un linguaggio che parla di violenza e di stupro, anche se la pellicola non ne accenna. Nel momento in cui però si sente un urlo, un attore dà per scontato che si tratti di una violenza sessuale e dice: Brindo a te, vergine stuprata! Come se uno stupro fosse una cosa da niente. Oggi il parallelo è con quello che si sente anche da una certa classe politica e da un certo utilizzo dei media, dove la violenza contro il diverso e lo straniero è ormai entrata nel vocabolario comune. Quindi ci si sente anche giustificati a utilizzare una certa terminologia violenta. Il parallelismo che facciamo è questo.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per il supporto professionale