In Conversazione con la morte c’è la fatica di dire e di non dire, l’anelito a una parola impossibile che diventa possibile soltanto attraverso il teatro: in fondo, semplicemente, un uomo solo che parla a un pubblico che lo ascolta. Che parla le parole sublimi, alte, poetiche e mai definitive di Giovanni Testori.
Al Teatro Litta
Conversazione con la morte è in scena alla sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano fino al 31 marzo. Scritto da Giovanni Testori e diretto da Mino Manni, lo spettacolo vede come unico protagonista Gaetano Callegaro.
La parola a Gaetano Callegaro
“Che cosa l’ha colpita di più di questo testo di Testori?”
“La cosa principale è la parola, perché Testori usa delle parole in queste Conversazioni con la morte che sono limpide, chiare e fortissime e le troviamo nella forma di una poesia pura. Quindi la parola non ha solo un significato, ma ha anche una potenza quasi concreta, tant’è vero che devo dire che la difficoltà non è stata tanto quella di recitare la parola, ma quella di viverla e quindi di entrare nella dimensione che l’autore mi ha dato con le sue parole. Questo è quello che mi ha colpito di più.”
“E’ giusto dire che qui il suo personaggio si immola di fronte al pubblico?”
“Sì, perché negli altri monologhi di Testori il personaggio poteva essere la Monaca di Monza piuttosto che Cleopatràs. Invece qui c’è proprio l’attore. Io sono un attore e quindi è l’excursus della vita di un attore. Le zone che Testori tocca sono zone della mia vita. E’ un immolarsi e un rendersi trasparente di fronte al pubblico.”
“In che modo la parola qui da impossibile diventa possibile?”
“Diventa possibile nel momento in cui la si vive, nel senso che le parole e le immagini che Testori crea sono altamente poetiche e quindi possono essere anche un po’ retoriche per certi versi. La difficoltà era proprio quella di riuscire a non renderle retoriche, ma a renderle esattamente vita. Molto spesso nella nostra esistenza nei momenti drammatici o di grande gioia, noi usiamo delle parole che possono essere considerate retoriche come la pace o la questione della guerra, la vita o la madre. Se noi le viviamo, se riusciamo a trasmettere la vita della parola, abbiamo raggiunto l’obiettivo, perché riusciamo a trasmettere al pubblico la vita e non soltanto la sua finzione.”
“C’è bisogno di un luogo particolare per mettere in scena questo testo?”
“Testori pensa questo testo in un teatro un po’ decadente. All’inizio lui dice che guarda il pubblico in un misero teatro. Però la nostra messa in scena è molto rituale, quindi è come se fosse una sorta di rito liturgico. Quindi lo spazio deve essere ovviamente molto più intimo, non può essere fatto in un teatro classico all’italiana con palco e platea. Ci deve essere più un rapporto che esiste all’interno di quelle che possono essere delle chiese.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per il supporto professionale