Il 19 settembre 2020 in Union Square, New York City, un enorme timer ha cominciato il proprio conto alla rovescia, partendo da 7 anni, 95 giorni, 2 ore e 36 minuti: il tempo che, secondo gli esperti, separa l’umanità dal disastro ambientale. Da quando si è posto il problema della fine, l’essere umano ha vissuto da un lato con terrore la possibilità che tutto finisca, dall’altro desiderando perversamente di poter essere spettatore del più grande spettacolo di tutti i tempi.
Decameron – Una storia vera è in scena al Teatro Litta di Milano fino al 3 aprile. Nato da un progetto di Stefano Cordella, che ne è anche il regista, lo spettacolo è stato scritto da Filippo Renda, presente anche in scena, e vede protagonisti Salvatore Aronica, Sebastiano Bottari, Martina Lovece, Greta Milani e Daniele Turconi.
Quattro domande a Stefano Cordella
Cosa è successo veramente il 19 settembre 2020?
Un timer è apparso in Union Square ed è iniziato un conto alla rovescia che ci separa dal disastro ambientale. Questa azione che ha esposto l’umanità a un rischio reale ha attivato nel mio gruppo di lavoro una serie di riflessioni da cui è partito lo spettacolo Decameron – Una storia vera.
Questo ha una qualche connessione con l’opera di Boccaccio?
L’opera di Boccaccio parla sicuramente di un momento di grande cambiamento. Come tutti noi stavamo vivendo il periodo della pandemia, che ha il collegamento diretto con il Decamerone, ma cercavamo di mettere a fuoco quale fosse per noi il rapporto con una fine imminente che ci toccasse anche più da vicino. Le due tematiche della pandemia e dell’esaurimento delle risorse ci sembravano in qualche modo collegate a una preoccupazione per un mondo che stava cambiando, perché poi, a differenza dei protagonisti di Boccaccio, non ci siamo trovati in prima linea in questo momento particolare, ma quello stop, quella pausa e quel congelamento ci hanno messi a confronto con una serie di tematiche legate alla possibilità che tutto potesse finire o cambiare. Ovviamente stiamo parlando di una fine anche metaforica, non solo reale.
Però sembra che molto dell’opera di Boccaccio sia attuale, data la situazione, giusto?
Lo è fin troppo. Ci siamo inoltre domandati quanto fosse giusto parlare di trattare il Decameron oggi. Ci siamo sentiti molto vicini ai protagonisti di Boccaccio, perché comunque viviamo una sorta di privilegio nel poter raccontare il presente che stiamo vivendo. Non essendo in prima linea e avendo la fortuna di lavorare in quel periodo, raccontarsi storie come fanno i personaggi di Boccaccio ci è sembrata la soluzione più catartica per scacciare i pensieri brutti di questo periodo.
Che cos’ha paura di perdere la società di oggi?
Sicuramente tutte le certezze su cui si fondava prima che la pandemia arrivasse. Parlo della sicurezza lavorativa e di quella di poter uscire e sentirsi al sicuro, che era un’illusione anche prima. La possibilità di avere dei contatti umani e fisici e di non sentirsi è stata rimessa in discussione. C’è quindi una serie di condizioni umane e intime di prospettive del futuro che sono state ribaltate. Sentiamo dunque la paura più vicina.
Adesso c’è anche la questione della guerra. E’ quindi come se ci trovassimo davvero davanti a un cambiamento, come se tutto da un giorno all’altro potesse diventare diverso da quello che era prima. C’è dunque più urgenza nel fare i conti con le proprie priorità e con il bisogno di sentirsi felici e vivi. E’ stato un grande amplificatore di alcune condizioni che prima si davano un po’ per scontate. Questo è quello che accade quando ci sono i grandi cambiamenti epocali e che noi stiamo cercando di raccontare attraverso questo spettacolo.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione
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