Lella Costa, “Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione”

Maria Callas, Marie Curie, Ilaria Alpi, Pina Bausch, Emily Dickinson, Marlene Dietrich, Anna Frank, Anna Politkovskaja, Mae West, Artemisia Gentileschi, e molte molte altre: Mary Anderson, l’inventrice del tergicristallo, Lillian Gilbreth della pattumiera a pedale e Maria Telkes dei pannelli solari. Sono cento, una al minuto, le donne cui Lella Costa rende omaggio nel suo spettacolo Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione, in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 14 aprile. Entrano una dopo l’altra, chiamate con una citazione, un accento, una smorfia, un lazzo, una canzone, una strofa, un ricordo, una poesia, un gemito, una risata. O solo col nome, perché a volte basta quello.

Lo spettacolo è ispirato a Il catalogo delle donne valorose di Serena Dandini. Lella Costa ha firmato anche la scrittura scenica con Gabriele Scotti. Il progetto drammaturgico e la regia sono di Serena Sinigaglia.

Intervista a Lella Costa

Queste donne cui tu rendi omaggio sono diversissime tra loro per la storia e il carattere che le contraddistinguono. A parte il fatto di ritrovarsi nello stesso spettacolo e la loro grandezza, c’è qualche altro elemento che le accomuna?

Parlo anche a nome del prezioso dramaturg Gabriele Scotti, che ha curato la ricerca, della regista Serena Sinigaglia e di tutte le persone dietro al grande lavoro di questo spettacolo. La sua apparente e autentica leggerezza nasce da una precisione e da una costruzione molto accurata. Al di là del fatto che sono tutte donne, oltre ad aver vissuto in un passato remotissimo o molto recente, hanno tutte fatto qualcosa per il mondo e lo hanno reso con il loro talento e la loro vocazione un posto più bello. L’aspetto fondamentale è che non lo hanno fatto per le donne. Non è stata una missione corporativa: hanno agito per il mondo e sarebbe bello che questo fosse riconosciuto. Il nostro non è uno spettacolo di rivendicazione né un atto di accusa: è un desiderio di raccontare quello che non è stato detto e questo è un peccato per tutti.

Che cos’è Il catalogo delle donne valorose?

E’ il libro che Serena Dandini ha scritto qualche anno fa e che ha ispirato lo spettacolo, anche se ovviamente è molto diverso: il suo era un testo in cui c’erano una trentina di biografie di donne insolite, non sufficientemente note o che magari non lo erano per quello che hanno fatto a tutti gli effetti. A Serena Sinigaglia e a me è venuta voglia di portarlo in teatro. Però lei, da bravissima regista e da grande provocatrice, ha detto che in teatro si fanno una, al massimo due biografie. Trenta non hanno senso, così mi ha proposto di farne cento e io da sventurata ho risposto di sì come da copione manzoniano.

Trovo molto bello e curioso il titolo “Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione”. Come nasce?

E’ una frase di una delle tante nostre donne valorose, Emma Goldman, un personaggio anarchico straordinario. Era una russa nata a San Pietroburgo e arrivata in America all’inizio del Novecento per parlare di diritti, parità salariale e libero amore. E’ forse la migliore sintesi di quello che, non sempre ma molto spesso, riesce a essere lo sguardo delle donne sul mondo: la capacità di rilanciare, di vedere oltre, di capire da subito e dall’interno le cose che non stanno andando come ci si aspettava o nel modo in cui si vorrebbe.

La stessa Emma Goldman, rimpatriata dagli Stati Uniti e finita in mezzo alla Rivoluzione russa, dopo poco ha detto: “Se la situazione attuale non cambia, la stessa parola socialismo rischia di diventare una maledizione”. Oggi sono bravi tutti a dire una cosa del genere. Dirla un secolo fa aveva invece un grande valore. Questa è spesso una capacità delle donne.

Che cos’è rivoluzionario nel ventunesimo secolo?

Forse l’ostinazione a voler raccontare in modo incessante e a pensare – come ha scritto Alessandro Baricco tanto tempo fa – che non sia l’informazione ma il racconto a renderci veramente padroni della Storia. E’ quindi un modo per mantenere viva la memoria; è la determinazione a voler privilegiare le relazioni, il contatto e tutto quello che avviene tra esseri viventi. Credo che mai come nei due anni di pandemia e di lockdown abbiamo patito questa limitazione e capito quanto sia vero. Dunque è rivoluzionario decidere che vanno benissimo tutte le tecnologie, anzi Dio benedica tutti i device! Sono però strumenti e non fini. Non possono essere loro il nostro scopo nello stare al mondo.

  • Intervista video di Andrea Simone
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