CORRADO D’ELIA, “IO, STEVE JOBS”

Un vero e proprio inno alla creatività. Uno spettacolo dedicato a Steve Jobs e ai suoi mille volti: Steve il genio, il ribelle, l’anticonformista, l’uomo che più di altri ha creduto e si è battuto per la bellezza, l’uomo che ha saputo unire l’anima alla tecnologia, ma anche Steve il solitario, il visionario, il cocciuto e l’idealista, a metà tra Don Chisciotte e Ulisse, colui che ha fallito miseramente ed ha saputo rialzarsi in modo eccezionale.

Io, Steve Jobs è in scena al Teatro Leonardo di Milano dal 22 al 31 ottobre: uno spettacolo nato da un progetto di Corrado d’Elia, che oltre a esserne il protagonista, ha scritto anche la sceneggiatura e firmato la regia.

La parola a Corrado d’Elia

In che cosa Steve Jobs era un anticonformista?

Steve Jobs ha sempre vissuto in modo diverso dagli altri. Per lui era strano rapportarsi con le persone e con la vita, e questo è tipico dei geni. Passò dalla terza elementare alla seconda media, proprio perché era un genio. Eppure ha cominciato ad annoiarsi terribilmente. Vedeva quello che noi non riusciamo a vedere. Immaginate una persona con ritmi, modalità e ricerche diverse dalle nostre come potevano essere Van Gogh e Beethoven: non stavano bene nel mondo perché il genio non sta bene nel mondo.

Qualcuno ha addirittura paragonato Steve Jobs a Prometeo, che ci regalò il fuoco. E’ un paragone azzardato o giusto?

E’ giusto. Steve Jobs, oltre a essere una figura mitica, fa parte della mitologia. Ci sono delle persone che sono delle icone: Che Guevara, i Beatles, Marilyn Monroe, Elvis Presley. In questo empireo non si può non mettere Steve Jobs.

Perché “la scienza senza bellezza non è nulla”, come hai scritto nelle note di regia?

Steve Jobs ha sempre voluto coniugare la passione per la tecnologia con quella per le cose belle e preziose. In qualche modo si poneva di fianco alla natura e cercava di comportarsi esattamente come lei. La natura crea sempre, in ogni momento, non smette mai di farlo. Steve Jobs in qualche modo ha sempre tentato di fare la stessa cosa, quando glielo permettevano. Quando la Apple, la sua azienda, è diventata gigantesca, infatti, i meccanismi sono cambiati rispetto a quando era in un laboratorio con dieci amici.

Quale fu il prezzo da pagare per Steve Jobs?

Per i geni il prezzo da pagare è prima di tutto la solitudine, che porta a cose molto diverse: Steve Jobs non ha riconosciuto una figlia per tanti anni; aveva un rapporto con le persone molto tranchant; bastava incontrarlo in ascensore e dire una parola un po’ sbagliata per essere licenziati. Non lo contraddistingueva l’umanità che possiamo aspettarci da un grande personaggio. La morte dei grandi geni li sublima e la malattia ha contribuito a sublimare questa grande figura e a farla diventare mitica. Steve Jobs fa parte della nostra vita, l’ha cambiata per sempre. Non possiamo fare finta che questo non sia avvenuto. Quindi per una volta ho voluto raccontare un aspetto diverso dal solito, perché il teatro difficilmente parla di contemporaneità.

Invece per una volta mettiamo insieme scienza e bellezza, due cose che sono alla base del pensiero culturale. La cultura in generale è quella classica e letterale ma dall’altra parte ci sono la matematica, la scienza e la fisica. Tutto questo fa parte della cultura e cerchiamo di raccontare una grande storia negli anni Settanta, negli Stati Uniti, con la sua musica e il suo modo di vivere: da una parte il movimento hippie, i fricchettoni, le droghe, la musica psichedelica e il mito dell’India; dall’altra l’industria dell’elettronica che in quel momento in California, a Cupertino, Mountain View e Palo Alto cominciava a crescere a dismisura.

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  • Intervista video di Andrea Simone
  • Foto in evidenza di Enrico Redaelli
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione