Io sono mia moglie racconta la storia di Charlotte von Mahlsdorf, donna transgender sopravvissuta al nazismo e al regime comunista a Berlino, recuperando e collezionando oggetti e mobili d’antiquariato. Un’indagine affascinante e singolare, quasi giornalistica, dal testo dello scrittore americano Doug Wright, pubblicato nel 2002 e vincitore del Premio Pulitzer nel 2004, grande successo in America e in Europa su un simbolo di libertà e lotta, tra luci e ombre.
Io sono mia moglie è in scena alla sala Bausch del Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 19 marzo. Lo spettacolo è tradotto, diretto e interpretato da Michele Di Giacomo.
La parola a Michele Di Giacomo
Raccontiamo la storia di Charlotte von Mahlsdorf?
Charlotte von Mahlsdorf è una donna transgender nata a Berlino sotto il nazismo e attraversa il nazismo e il comunismo in abiti femminili, raccogliendo mobili d’antiquariato sottratti dalle case dei dissidenti politici della DDR, degli ebrei rinchiusi nei campi di concentramento creando un museo all’interno del quale a Berlino Est si raccoglie anche la comunità omosessuale che all’epoca non poteva raccogliersi in nessun luogo pubblico sotto il comunismo. Diventa quindi un simbolo di libertà e di coraggio. Doug Wright scopre la sua storia quando cade il muro di Berlino. Va al Grunderzeit Museum e assiste a una visita di questo museo privato dove Charlotte racconta la storia degli oggetti che conserva. Ma Doug, il drammaturgo che scrive il testo, viene colpito dalla storia di Charlotte.
Su che basi ti sei documentato per tradurre il testo?
La traduzione è stata lenta, perché io avevo il testo sul mio comodino da sette anni. Ho partorito l’idea di creare questo spettacolo nel tempo e ho scelto di farlo solamente quando ero pronto a metterlo in scena. Quindi è stata una traduzione che ho fatto nel tempo, l’ho rivista in continuazione, ho avuto anche il supporto di Silvia Masotti che ringrazio anche nello spettacolo e poi, quando lo abbiamo messo in scena durante il 2020 grazie ad ERT Emilia Romagna Teatro anche l’assistente Jacopo Gardelli, che conosce molto bene il tedesco, mi ha dato una mano perché c’è una forte presenza di questa lingua.
Non è stato semplice perché in alcuni vocaboli noi non abbiamo in inglese il maschile e il femminile, quindi scegliere in un testo, la cui identità e molto forte, se mettere un maschile o un femminile dà una forte caratterizzazione alle scelte che si decidono di imporre sulla rappresentazione del suo personaggio.
Era un’eroina?
Questa è la domanda che si pone anche Doug Wright. Lui fa delle interviste a lei nel corso del 1993, raccoglie moltissimi nastri, è innamoratissimo di lei, vuole raccontare la sua storia, ne è affascinato, ma lentamente, mentre lei si racconta, scopre che c’è una verità forse non così limpida e quindi si chiede se Charlotte von Mahlsdorf sia quella che si racconta, un’eroina, o se in realtà sia una spia della Stasi.
E’ chiaro che il tema non sono le luci e le ombre di una persona, ma la cosa interessante del testo è che lui si interrompe, perché più va avanti nel conoscere la sua storia, più lei si racconta, più capisce che qualcosa non torna ed il testo è fondamentalmente lui che non riesce a raccontare questa sua storia, che non sa cosa fare di quel materiale e sceglie quindi di darlo allo spettatore tramite la forma più pura che c’è: le interviste. Dà quindi una sorta di oggettività, lasciando al pubblico la possibilità di capire se è un’eroina o non lo è, ma soprattutto se è importante oppure no, se ha delle luci o anche delle ombre. Forse non è così importante, alla fine sono vite vissute, è chiaro che ci possono essere delle ombre.
Il suo travestitismo era un modo per nascondersi o per mostrare la parte più vera di sé?
Lo spettacolo gioca tutto su questo, perché è un gioco di rappresentazione e di teatro. Noi vediamo Doug Wright nella sua soffitta – almeno io me lo sono immaginato così nella mia regia – con le sue scatole di nastri registrati con un plastico del Grunderzeit Museum, che ripercorre le interviste. Quindi Charlotte nelle interviste si racconta, si rappresenta. C’è dunque un gioco a rappresentare se stessi. Quindi il travestitismo è anche un meccanismo teatrale di gioco in cui io riesco ad attraversare più di venti personaggi. A volte sono singole frasi, altre sono personaggi con uno sviluppo. E’ proprio un meccanismo teatrale perfetto che infatti ha fatto sì che il testo abbia vinto il Premio Pulitzer nel 2004.
- Intervista di Andrea Simone
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- Foto in evidenza di Matteo Toni
- Si ringrazia Maddalena Peluso