Il Sorpasso di Dino Risi è uno dei più grandi capolavori della commedia italiana. Uscito nel 1962, è considerato il miglior film del regista, che ne firmò anche la sceneggiatura con Ettore Scola e Ruggero Maccari. Micaela Miano ne ha curato l’adattamento, portandolo per la prima volta in teatro con la regia di Guglielmo Ferro .
Bruno, magistralmente interpretato al cinema da Vittorio Gassman, ha qui il volto di Giuseppe Zeno, mentre la giovane promessa Luca Di Giovanni è Roberto, impersonato da Jean-Louis Trintignant sul grande schermo. Cristiana Vaccaro ha il doppio ruolo della zia di Roberto e della moglie di Bruno. Completano il cast Marco Prosperini, Simone Pieroni, Pietro Casella, Francesco Lattarulo e Marial Bajma Riva. Lo spettacolo è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 21 maggio.
Il viaggio di Bruno e Roberto
Manifesto del boom economico dell’Italia degli Anni Sessanta, Il Sorpasso è anche un road movie psicologico. Ed è proprio questo il punto di forza che lo rende un testo senza tempo. In scena troviamo due figure agli antipodi: Bruno, spaccone ed esuberante donnaiolo e Roberto, studente universitario modello, timido e introverso. Ad accomunarli sarà un incredibile e per molti versi surreale viaggio su una spider, da Roma a Castiglioncello, lungo l’Aurelia.
La parola a Luca Di Giovanni
“Quanto viene messo in evidenza lo spirito goliardico e la gioia di vivere degli Anni Sessanta?”
Abbiamo mantenuto molto lo spirito ludico del film. Ci siamo concentrati sul fatto che il teatro, essendo un mezzo in costante evoluzione, ci consente di amplificare il nostro gioco. Ogni sera è uno spettacolo diverso. Nel rapporto tra Giuseppe Zeno e me, è presente la goliardia portata dal suo personaggio: il suo è un approccio alla vita “cazzeggioso”, esuberante e “battutaro”, tipico del carattere romano che lui interpreta. Io rappresento il lato serio, trattenuto e tradizionale. Però nello spettacolo ho una grandissima voglia di vivere. Non vedo l’ora di liberarmi e di esplodere. Quindi la golardia, nel senso vitale e non demenziale del termine, è molto presente. Sul palco ci divertiamo e credo che questo si veda.
“Puntate di più sul contesto storico e sociologico o sulla psicologia dei personaggi?”
Sulla psicologia. Essendo un adattamento teatrale, abbiamo dovuto ridurre molto la scenografia e le ambientazioni. E’ tutto molto mentale. La macchina diventa il luogo dove il mondo di Bruno e quello di Roberto si incontrano. Il contesto sociologico emerge dai dialoghi, dalle musiche e dalle atmosfere che il regista è riuscito a creare. Noi abbiamo voluto però anche sottolineare il contesto sociologico proprio perché è eterno. E’ uno spettacolo attuale ed è una storia che è bello continuare a raccontare. La vicenda di Roberto, che viene “iniziato” alla brutalità della vita da Bruno, è un romanzo di formazione.
“Qual è il risultato dell’incontro/scontro tra due caratteri così diversi?”
Una crescita. Non soltanto per il mio personaggio, ma anche per quello di Bruno. Le loro due solitudini che si incontrano all’inizio fanno fatica a comunicare, perché Bruno è un fiume in piena. Poi però i due cominciano anche ad ascoltarsi e ad aprirsi. Sembra veramente che stia per nascere un rapporto tra fratello maggiore e minore o tra padre e figlio. C’è un’attrazione reciproca tra un ragazzo timido e silenzioso e un altro sbruffone e logorroico. Il risultato è la nascita di una bella amicizia.
“Tu hai la parte per cui Dino Risi scelse Jean-Louis Trintignant: quella di Roberto, il più introverso e tormentato tra i due. La sua interpretazione è stata per te fonte di ispirazione o hai preferito non farti condizionare?”
Ho preferito non farmi condizionare, perchè Trintignant è un attore francese che negli Anni Sessanta recitava in modo elegante, raffinato, esistenzialista, quasi “aznavouriano”. Le sue performance artistiche di quel periodo erano neutre e minimaliste. Tra l’altro, nel film è doppiato da Paolo Ferrari, quindi si perde anche un po’ della sua interpretazione originale. Provare a riportare quel tipo di recitazione in teatro oggi sarebbe stato limitante, per non dire fuorviante. Chiaramente ho preso alcune cose del personaggio in cui Trintignant era stato assolutamente perfetto, ma le ho portate nel mio mondo e ho dato loro un’energia diversa.
La mia timidezza è differente da quella di Trintignant. Io ho cercato di rendere più contemporaneo il personaggio di Roberto, di far trasparire la sua voglia di vivere e la sua rabbia repressa. La cosa interessante, infatti, è che Roberto se ne libera durante la storia, come nella scena in cui si ubriaca. Lì si vede finalmente tutta la sua voglia di trasgressione.