Marco Di Stefano e Chiara Boscaro, “Poco più di un fatto personale”

Una storia che prende spunto da un fatto di cronaca nera avvenuto nel varesotto. Il 24 gennaio 2004 una giovane coppia cerca di occultare le prove di un delitto liberandosi dell’auto della vittima. Non è però un delitto come tutti gli altri perché dietro a questa storia “vestita di nero”, come la definirebbe Fabrizio De André, si nasconde un giro di messe nere messo in atto dalle cosiddette “Bestie di Satana”, responsabili di tre omicidi e un’induzione al suicidio.

Poco più di un fatto personale è in scena fino al 6 maggio al Teatro della Cooperativa di Milano. Diretto da Stefano Beghi, lo spettacolo è stato scritto da Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, che ne è anche protagonista con Susanna Miotto, Alice Pavan, Riccardo Trovato e Fabio Zulli.

Parlano Marco Di Stefano e Chiara Boscaro

L’aspetto che mi ha colpito di più è che tu conoscevi molte persone coinvolte in questa vicenda. Partiamo da questo aspetto?

Marco Di Stefano: In verità era una conoscenza assolutamente superficiale nel senso che frequentavamo gli stessi ambienti. Facevamo però parte di tribù diverse, perché il gruppo in cui è nato il fatto di cronaca delle Bestie di Satana era legato alla musica metal mentre il mio lo era a quella punk. Verso la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni 2000 diciamo però che i luoghi della Milano alternativa erano per noi più o meno gli stessi: la fiera di Senigallia, il Parco Sempione, le Colonne di San Lorenzo, alcuni locali in comune come il “Midnight”, il “Rainbow” o l'”Acquatica”. Erano quindi volti che vedevo abbastanza spesso e dunque, quando ho aperto il giornale e visto la foto di queste persone, lo shock è stato fortissimo perché era come rendersi conto che un malessere giovanile abitava a pochi passi da me.

Avevi dei rapporti con loro oppure ti limitavi a dirgli “buongiorno” o “buonasera”?

Marco Di Stefano: Avevamo delle amicizie in comune ma preferirei non parlarne e non ne parlo neanche durante lo spettacolo per rispetto a terze persone. Erano relazioni abbastanza di circostanza.

Chiara Boscaro: Ci siamo però resi conto che ci sono tante persone intorno a noi che li conoscevano, hanno avuto a che fare con loro e hanno relazioni di parentela o di amicizia, proprio perché è una storia legata al territorio.

Persone che facevano parte delle vittime o dei carnefici?

Chiara Boscaro: Entrambe. Più parliamo di questo spettacolo più troviamo qualcuno che ci dice di averli conosciuti.

Anche dopo più di vent’anni?

Chiara Boscaro: Assolutamente sì. E’ gente che fa parte della nostra generazione, ma ci sono anche persone più grandi.

Secondo te è stata più la noia della vita di provincia a spingere quei ragazzi a compiere quei delitti o è più una questione di disagio interiore?

Chiara Boscaro: Abbiamo parlato anche con il pm che si è occupato del processo e con un’avvocata che ha difeso alcuni di loro. E’ un po’ un mix di cose, perché in realtà questi ragazzi venivano da aree diverse: c’era un gruppo del varesotto e un altro dalla zona nord di Milano, che non è tecnicamente “provincia profonda”, però io sono cresciuta in quelle zone e sentivo una lontananza fortissima dal centro del mondo, che era il cuore di Milano. C’è sicuramente quest’aspetto e un altro fortissimo di dipendenza dalle sostanze; c’erano di sicuro delle relazioni psicologiche un po’ pericolose e si è creato un gruppo autoindotto a fare alcune cose per paura l’uno dell’altro e sfida. Le dinamiche sono andate a convergere in una situazione orrenda.

Marco Di Stefano: C’erano manipolazione e sudditanza psicologica.

Chiara Boscaro: Bullismo e tutto il peggio che si possa immaginare.

Perché questo spettacolo è un viaggio a ritroso nell’adolescenza?

Marco Di Stefano: Perché quando vedo quella foto del 2004 (l’anno in cui vennero arrestati) ho in qualche modo la sensazione di averla scampata, non tanto perché avessi una conoscenza stretta con queste persone ma perché credo che l’adolescenza sia sempre un momento molto pericoloso della vita. Anche la mia è stata piuttosto turbolenta, dato che è un’età in cui tentiamo di definire la nostra identità e cerchiamo un gruppo che ci accetti e valorizzi. Questo però passa spesso attraverso la prevaricazione sugli altri.

Ci si fa accettare perché magari compiamo qualcosa nei confronti del più debole del gruppo che in qualche modo diventa lo zimbello. Ci eleviamo al di sopra di queste persone ed entriamo a fare parte di un gruppo. Questo è secondo me connaturato all’adolescenza stessa, è qualcosa che dobbiamo accettare e affrontare in qualche modo. Spesso ci si stupisce della violenza tra i giovani ma è da quando esiste il mondo che gli adolescenti fanno violenza sugli altri. E’ un modo per riappacificarmi con il mio passato ma anche per rilanciare sul futuro.

Chiara Boscaro: Un’altra cosa su cui ci siamo interrogati molto è che se andiamo a cercare le famiglie e quelli che hanno vissuto questa situazione, scopriamo che tanti di loro non se ne sono neanche accorti.

In questa vicenda parli di un vuoto provato dai giovani di allora e che ti spaventa perché sai che è anche quello che proveranno i nostri figli. In che cosa sono diverse queste due assenze?

Marco Di Stefano: Credo che in adolescenza si provi comunque quel vuoto. Di sicuro sono cambiate le tribù di appartenenza, che negli anni Sessanta e Settanta erano perlopiù politiche. Noi ci siamo invece consegnati alle subculture, quindi alla musica alternativa. Oggi non ho la percezione di quali siano le tribù degli adolescenti di oggi e questo è un mio limite.

Quelli della trap.

Marco Di Stefano: Potrebbe essere, ma effettivamente non ne conosco altre. A spaventarmi è il cambiamento dell’uso della tecnologia. Non so se questo sia un aggravante o meno ma è di sicuro un fatto diverso.

Parli del cyberbullismo?

Marco Di Stefano: Proprio di quello. Noi avevamo il diritto all’oblio. Ora gli atti di violenza vengono filmati spesso, diventano virali, quindi secondo me sono un po’ più difficili da gestire. La pandemia e l’isolamento sono inoltre stati devastante per gli adolescenti e i preadolescenti. Ci sono anche dei dati abbastanza preoccupanti a riguardo.

  • Intervista video di Andrea Simone
  • Si ringraziano Antonietta Magli e Giulia Tatulli per la collaborazione
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